Ucraina: tra guerra e prime ipotesi di negoziato
Tempo di lettura: 4 minutiPrimi spiragli nella guerra ucraina, mentre sono ancora in corso i combattimenti. Il presidente ucraino Volodimir Zelensky si è detto pronto a trattare con i russi sulla neutralità del Paese e Putin si è detto disposto a inviare una delegazione di alto profilo a Minsk per negoziare con la controparte.
La guerra potrebbe finire presto, quindi, anche perché, nel frattempo, il ministero della Difesa russo ha dichiarato che le truppe russe non entreranno a Kiev (decisione, ovviamente, revocabile).
L’Ucraina e la Russia
In fondo, tutta la vicenda ucraina ruota attorno al nodo della neutralità, i russi non hanno interesse a prendere il Paese, come ha spiegato l’accademico russo Sergey Karaganov, che ha declinato la nuova dottrina di Putin: “È giunto il momento di smetterla di ripetere l’affermazione falsa e così sorprendentemente polacca di Zbigniew Brzezinski secondo cui la Russia non può essere una grande potenza senza l’Ucraina. Il contrario è molto più vicino alla verità: la Russia non può essere una grande potenza se è gravata da un’Ucraina sempre più ingombrante, un’entità politica creata da Lenin che in seguito si espanse verso ovest sotto Stalin”.
“Il percorso più promettente per la Russia è lo sviluppo e il rafforzamento dei legami con la Cina. Una partnership con Pechino moltiplicherà di molto il potenziale di entrambi i Paesi”.
La possibilità di pervenire a tale neutralità era, peraltro, implicita nelle tensioni che hanno preceduto la guerra. Biden ha più volte avvertito Zelensky che l’America non avrebbe difeso l’Ucraina, con la Nato che ovviamente avrebbe seguito la nazione leader.
Una decisione riaffermata più volte e in maniera più che esplicita, avendo ribadito con fermezza che Washington non avrebbe tollerato un’aggressione contro un Paese aderente alla Nato, dalla quale l’Ucraina ad oggi è esclusa.
L’errore di Zelensky
La determinazione di Biden puntava a sciogliere il nodo prima che la situazione precipitasse. Non potendo garantire ai russi la non adesione dell’Ucraina alla Nato, troppo forti le pressioni dei falchi, aveva cercato di convincere il governo ucraino a fare tale passo, lasciandolo solo contro il potente vicino.
È quel che aveva provato a suggerire anche l’ambasciatore ucraino in Gran Bretagna Vadym Prystaiko, quando ha affermato che l’Ucraina avrebbe potuto dichiarare essa stessa la non adesione alla Nato, parole che era stato costretto a rimangiarsi il giorno dopo.
Si trattava, cioè, di fare per l’Ucraina quanto avvenuto per l’Austria al tempo della Guerra Fredda, quando un ragionevole accordo garantì a Vienna di non essere al centro delle tensioni internazionali, senza però inficiarne lo sviluppo e i rapporti col resto dell’Europa.
Ma Zelensky non ha creduto che l’America fosse conseguente. Contava sulle forze ucraine, che sebbene sapesse che erano inadeguate a sostenere un confronto, reputava però che potessero fungere da deterrente, essendo in grado infliggere danni significativi all’esercito nemico, tali da sconsigliare l’aggressione.
Questa era la ferma convinzione delle frange più nazionaliste e i vaticini che Zelensky aveva ricevuto dagli ambiti atlantisti più bellicisti, pronti a lottare fino all’ultimo uomo, sempre che a morire siano altri.
Ma quando la guerra è iniziata, Zelensky ha scoperto che gli ucraini erano stati “lasciati soli”, come se avesse preso le parole di Biden come un bluff, nonostante alle parole il presidente Usa avesse fatto seguire i fatti, spostando, ben prima dell’intervento russo, l’ambasciata Usa da Kiev a Leopoli. Un segnale inequivocabile.
Ma Zelensky, appunto, ha creduto alle sirene e pensato che anche quello di Putin fosse l’ennesimo bluff ai confini ucraini. Non è andata così, purtroppo, e la guerra è tornata nel Paese, dopo otto anni di stallo.
La prima guerra del Donbass
Quel che Putin non può dire è che questa guerra serviva anche a coprire un suo errore precedente. Quando, otto anni fa, i filo-russi, appoggiati da Mosca, distrussero l’esercito ucraino nella guerra del Donbass, avrebbero potuto chiedere tutto, compresa la neutralità del Paese.
Ma Putin si fece convincere dalla Merkel a lasciare la situazione in stallo, in attesa che gli accordi di Minsk dessero alle repubbliche del Donbass e alla Russia quelle garanzie che non sono mai arrivate.
Nello stallo, l’Ucraina è diventata sempre più ostile, sempre più armata e soprattutto sempre più vicina alla Nato.
Questo nodo avrebbe potuto risolversi con Trump, sui cui sforzi per pacificare Mosca e Kiev abbiamo scritto nella nota precedente, ma è rimasto irrisolto fino all’insediamento di Biden, che sull’Ucraina, come su altro, è stato fedele alla dottrina Obama.
Così Obama nel 2016 nella lunga intervista all’Atlantic (titolo: “La dottrina Obama“): “Obama dichiara che l’Ucraina non è un punto di interesse centrale degli americani ed è riluttante a intervenire nel Paese, perché la Russia potrà sempre conservare un dominio e non vuole escalation. ‘Il fatto è che l’Ucraina, che è un paese non NATO, sarà vulnerabile alla dominazione militare della Russia, qualunque cosa facciamo’.
Ma tante le variabili in campo: da vedere se Biden riuscirà a tenere il punto; se l’esercito ucraino riuscirà a riorganizzarsi; se avrà luogo una difesa strenua (che comporterà più vittime e una mobilitazione internazionale più stringente); se, invece, parte dell’esercito ucraino si solleverà contro Zelensky, come ha chiesto Putin (arduo), e tanto altro.
Resta che la Russia, a quanto pare, è disposta a pagare qualsiasi prezzo, come avvenne per Napoleone e Hitler, pur di non avere un Ucraina nucleare alle sue porte, come l’America non poteva accettare l’atomica sovietica a Cuba.
Scenario, quest’ultimo, non solo antico: mentre ancora le armi tacevano, ma le tensioni erano alte in Ucraina, la Russia aveva fatto balenare l’ipotesi di spostare le sue atomiche a Cuba o in Venezuela. Ipotesi alla quale l’America aveva risposto che avrebbe reagito con “decisione“, cioè avrebbe incenerito quei Paesi. Certe leggi della geopolitica sono alquanto nette.
Situazione in divenire. Vedremo.