Ucraina. L'ambiguità di Biden e le rivelazioni sul figlio
Tempo di lettura: 3 minutiÈ inconsueto che il presidente americano parli al mondo attraverso un articolo di giornale invece che in un discorso, ma così è stato e ieri ha pubblicato sul New York Times un intervento in cui spiegava l’impegno Usa a sostegno dell’Ucraina, anche per rispondere alle domande, sempre più pressanti, di fare chiarezza sull’impegno Usa.
Nell’articolo, a parte la solita retorica, due aspetti rilevanti. Il primo è il tono moderato dello scritto: nessun insulto a Putin e la riaffermazione che gli Usa non sostengono un regime change in Russia né cenni sui crimini di guerra attribuiti a Mosca. Un passo indietro, dunque, rispetto a certi interventi estremi del passato.
Al di là delle solite accuse al nemico, non si rinviene neanche alcun cenno all’integrità territoriale dell’Ucraina o alla cacciata dell’esercito russo, solo la prospettiva di vedere la nazione preservata nella sua fisionomia “democratica, indipendente, sovrana e prospera” e un rilancio della soluzione diplomatica, che deve essere il fine della difesa ucraina, come peraltro ha detto Zelensky.
Insomma, una prospettiva che si può definire relativamente distensiva, come notato anche dai media russi. Connotazione che appare ribadita nella conclusione, nella quale spiega che l’America rimarrà a fianco dell’Ucraina “nei mesi a venire”… cenno significativo perché non resta nell’indefinito, ma ha una qualche scadenza: non una guerra infinita, quindi, ma di “mesi” (fino alle midterm di novembre?).
La seconda cosa, in contrasto con quanto rilevato sopra, è la dichiarazione riguardo all’invio di missili all’Ucraina (oltre all’altro armamentario elencato nello scritto). Su tali missili si è svolto un braccio di ferro intenso quanto segreto nel cuore dell’Impero, con Biden che aveva fatto trapelare il suo niet all’invio di sistemi missilistici a lunga gittata, raccogliendo un accennato plauso dei russi per la “saggezza” dimostrata.
E, però, sono tante le ombre sul sistema missilistico effettivamente inviato, che pare sia tarato per colpire a 80 Km di distanza, collocandolo nella sfera dei missili a medio raggio. In realtà, le informazioni in merito all’effettiva gittata sono contraddittorie e tali da non escludere sorprese. L’unica cosa che si sa per certo è che gli americani hanno dichiarato che le autorità ucraine hanno assicurato che non saranno usate contro il territorio russo.
I russi, ovviamente, non si fidano di tale rassicurazione e parlano di escalation, riguardo la quale hanno annunciato che prenderanno contromisure adeguate, sia sul campo di battaglia che altrove (in parallelo, hanno svolto esercitazioni con il loro arsenale atomico).
L’ambiguità che permea la fornitura di tale armamento rende la decisione di Biden rischiosa.
In realtà. i missili non cambieranno molto sul campo di battaglia, al massimo infliggeranno più perdite ai russi, ai quali, però, resterà il controllo della situazione in Donbass. Ma cambierà molto se tali ordigni saranno lanciati contro la Russia, che potrebbe reagire (non con l’atomica: ha varie opzioni alternative).
Tanta ambiguità a rischio contrasta con il precedente niet di Biden sui missili a lungo raggio, come se fosse stato costretto a piegarsi a pressioni indebite. A tale proposito, va registrato che proprio in questi giorni il segretario della Nato Jens Stoltenberg è volato in America.
Il Superfalco avrà sicuramente unito la sua voce a quelle dei falchi made in Usa, vincendo il braccio di ferro. Una vittoria che trapela anche dalle dichiarazioni che ha reso durante la ripartenza dagli Stati Uniti, quando ha avvertito il mondo di prepararsi a una lunga guerra di “logoramento“.
Per inciso, altre volte abbiamo accennato a come nei momenti più cruciali riemerga il caso del portatile di Hunter Biden, coincidenze che fanno immaginare, magari a torto, che lo scandalo sia brandito per fare pressioni sulla presidenza.
Puntuale, la vicenda è riemersa anche in questa occasione chiave, con il suo bagaglio di rivelazioni inquietanti, che stavolta contenevano anche riferimenti a un indefinito “papà”. A ritirare fuori la vicenda è stato il britannico Daily Mail, vicino ai conservatori del Regno Unito, l’ambito più ingaggiato nella guerra ucraina.
Al di là delle coincidenze temporali, resta che all’interno dell’Occidente si assiste a una lotta tra quanti tentano di chiudere in qualche modo il conflitto (per impedire che travolga il mondo) e quanti vogliono trasformarlo nell’ennesima guerra infinita (o di logoramento che dir si voglia), nulla importando i rischi di escalation.
Biden ci sta provando, appoggiandosi sembra al Pentagono, ma non ha la forza dalla sua, da qui la pericolosa ambiguità operativa che si dipana in parallelo all’altisonante retorica.
Resta che il New York Times in calce all’articolo del presidente ha voluto richiamare il suo precedente editoriale, nel quale il giornale della Grande Mela chiedeva l’avvio di un negoziato permeato di realismo (ne abbiamo riferito in altra nota). E lo ha accompagnato pubblicando, nello stesso giorno, il j’accuse di Christopher Caldwell contro l’amministrazione Usa, colpevole più di altri del prolungarsi di questo conflitto.
La dialettica è destinata a durare, come anche la guerra ucraina.