Ucraina: la lezione di Tolstoj e la gioia di Blinken per il collasso dei gasdotti
Tempo di lettura: 4 minutiRiportiamo dal National Interest: “Dopo il successo della controffensiva ucraina a Kharkiv all’inizio di questo mese, che ha portato alla liberazione di quasi il 6% del territorio occupato dalla Russia, i leader occidentali continuano a sopravvalutare le possibilità dell’Ucraina di vincere la guerra”.
“I report indicano che la mobilitazione parziale di Putin non sarà limitata a 300.000 soldati, come dichiarato in modo fuorviante dal governo russo, ma piuttosto a 1,2 milioni di riservisti, i quali verranno utilizzati in un’offensiva invernale pianificata che potrebbe porre fine all’indipendenza del paese”.
Anche dopo i referendum del Donbass, continua il NI, “il governo russo ha dichiarato di rimanere aperto a negoziati di pace con l’Ucraina. Il governo ucraino si rifiuta di incontrare i russi per negoziare la fine della guerra, a motivo del continuo sostegno militare dell’Occidente. Sfortunatamente, tuttavia, la probabilità che l’Ucraina ottenga più territorio è minima e, anche se accadesse, potrebbe innescare in una risposta nucleare russa”.
“È probabile che anche l’incremento più massivo di armi occidentali a Kiev non sia sufficiente a evitare che venga sopraffatta dal massiccio aumento del numero di truppe russe inviate in Ucraina. Di conseguenza, lo slancio nella guerra sta per svoltare definitivamente in favore della Russia. In questo momento è necessario cristallizzare le conquiste sul campo di battaglia dell’Ucraina”.
A scrivere queste righe è David Payne, ex ufficiale in forza presso lo Stato Maggiore degli Stati Uniti. Il quadro che traccia è alquanto realistico. Le vittorie registrate dall’Ucraina, come la conquista della cittadina di Lyman avvenuta ieri, sono state ottenute in forza del ritiro dei russi. A stare ai precedenti, invasione napoleonica e nazista, è proprio attraverso ritirate tattiche simili, costate sangue al nemico, che la Russia ha sconfitto i suoi avversari.
La lezione di Tolstoj e l’Ucraina
In Guerra e pace Tolstoj lo spiega in maniera dettagliata, quando ricorda la vittoria napoleonica a Borodino e la decisione del generale Kutuzov, capo dell’armata russa, di lasciare al nemico addirittura Mosca. Tolstoj spiega come Kutuzov aveva compreso che le forze napoleoniche, anche se vittoriose nella battaglia di Borodino, avevano qui subito una ferita mortale e c’era solo aspettare che tale ferita lo portasse alla morte, come accadde.
Un’immagine che potrebbe adattarsi a quanto avviene nella guerra attuale: in queste offensive continuate, mentre i russi badano a mettere al riparo mezzi e soldati, le forze ucraine subiscono perdite ingenti (e non più quantificate..).
Se citiamo Guerra e pace è anche perché pone un’analogia tra questa e quella guerra, allorquando Tolstoj spiega che la Russia non combatté solo contro l’esercito francese, ma con l’intera Europa occidentale, dal momento che a rinfoltire le forze napoleoniche c’erano polacchi, austriaci, italiani etc (peraltro anche con le forze naziste c’erano truppe di mezza Europa, italiani compresi).
Certo, il passato non si ripresenta mai uguale a se stesso, ma quella descrizione può aiutare a capire che nella dottrina militare russa la ritirata strategica occupa un posto centrale, particolare che va tenuto presente quando si analizza la guerra ucraina.
Così, anche se lo scenario che descrive Payne , cioè il capovolgimento completo delle sorti della guerra nel prossimo inverno, è forse eccessivo, non sbaglia però nel suggerire di relativizzare le attuali vittorie di Kiev e soprattutto nell’indicare che questo è un momento favorevole per un’iniziativa diplomatica.
Un’iniziativa che deve essere improntata al realismo: chiedere alla Russia di rinunciare a tutti i territori in cui hanno avuto luogo i referendum sarebbe del tutto irrealistico e avrebbe solo la conseguenza di prolungare la macelleria.
Putin ha infatti annunciato nel modo più solenne e irrevocabile possibile l’annessione di tali regioni, in un discorso tenuto davanti a una folla che, nel simbolismo evocato, rappresentava l’intero popolo russo. Non tornerà indietro. Altro sarebbe brandire tale richiesta per trattare sulle concessioni che Mosca dovrà pur fare per arrivare a un compromesso.
Va da sé che procrastinare i tempi di un’iniziativa diplomatica, oltre che perpetuare la macelleria del popolo ucraino (e russo) e rischiare la sopravvivenza stessa dell’Ucraina come Stato (un attacco alle sue infrastrutture in stile Iraq la metterebbe in ginocchio), rischia di innescare escalation ingestibili.
Il sabotaggio ai gasdotti: un’enorme opportunità per gli Usa
Infine, va registrato che, paradossalmente, la distruzione del North Stream 2 potrebbe favorire l’avvio delle trattative. Lo abbiamo scritto in una nota precedente, spiegando che con la distruzione del gasdotto gli Stati Uniti hanno ottenuto un successo innegabile, avendo subordinato in via provvisoriamente definitiva l’Europa a Washington.
Sta a Washington decidere se incassare la posta o rilanciare, opzione quest’ultima che però presenta delle criticità. La prima è che sui cittadini dei Clienti europei, in caso di un rilancio, si aggiungerebbero nuovi e più pesanti gravami.
Certo, il dilagare dell’insoddisfazione e il caos conseguente potrebbero favorire una ulteriore stretta da parte di leader europei consegnati all’atlantismo senza limitismo, ma potrebbe anche creare problemi di gestione dei Clienti stessi, nonché innescare problemi all’interno dello stesso Impero, se l’impoverimento del Vecchio Continente, più che servire da volano per le industrie statunitensi, le trascinasse con sé nell’abisso (sviluppo che i falchi Usa non prendono nemmeno in considerazione… ).
E poi c’è sempre il rischio di un’escalation nucleare. Anche qui i falchi Usa ostentano una stolida sicurezza, dal momento che ritengono di poter circoscrivere tale rischio alla sola Europa (per questo parlano sempre di atomiche “tattiche”).
Ma è da vedere se la Russia accetterà questa linea rossa, cioè che basta non colpire l’America per evitare rappresaglie in stile Armageddon. In realtà, finora Mosca ha evitato di farsi dettare le regole di questo gioco (al massacro) dagli Stati Uniti. Ed è probabile che sia così anche nel caso di un’eventuale escalation nucleare.
Quanto al sabotaggio del North Stream, ne abbiamo già scritto. Ci torniamo solo per registrare l’improvvido entusiasmo con il quale il Segretario di Stato Usa Tony Blinken ha salutato l’accaduto.
Interpellato sull’attentato ai gasdotti, Blinken ha spiegato quanto fatto dagli Usa per porre fine alla dipendenza dell’Europa dal gas russo, aggiungendo che sono impegnati ad aiutare i Paesi del Vecchio Continente a trovare alternative, dichiarando con orgoglio che “ora siamo il principale fornitore di GNL in Europa”…
Ma a sorprendere ancor di più è la conclusione della risposta: “In fondo, anche questa è una straordinaria opportunità. È una straordinaria opportunità per rimuovere una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi togliere a Vladimir Putin l’arma dell’energia come mezzo per far progredire i suoi progetti imperiali. Ciò è molto importante e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire” (Us/gov).
In una conversazione telefonica con Blinken, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas lo ha definito “ragazzino” (Timesofisrael). Il fatto che i destini del mondo siano in mano a questi ragazzini non infonde molta fiducia.