12 Marzo 2025

Ucraina. La proposta di tregua: piccolo passo, ma simbolico

In attesa della risposta di Putin, che dovrebbe aderire motivando il sì come gesto di buona volontà, resta che per la prima volta si parla davvero di un cessate il fuoco. Zelensky non era presente all'incontro
di Davide Malacaria
Ucraina. La proposta di tregua: piccolo passo, ma simbolico
Tempo di lettura: 4 minuti

Così da Jeddah arriva la notizia che l’Ucraina ha accettato una tregua di 30 giorni, durante i quali si dovrebbe procedere a uno scambio di prigionieri e ad altre iniziative umanitarie.  Zelensky “è stato messo al suo posto”, esulta la Casa Bianca per bocca della portavoce Caroline Leavitt.

White House after Jeddah meeting: Trump put Zelensky in his place

La determinazione di Trump e le sconfitte ucraine

Un indubbio successo, infatti, per Trump, che ha rintuzzato la sfida del presidente ucraino e dei Paesi europei alla sua spinta per raggiungere la pace nel conflitto che dilania l’Ucraina, opponendo alla sua pressione le ragioni della guerra perpetua.

E, in effetti, si tratta di una svolta, precaria e minimale quanto si vuole, ma pur sempre di alto valore simbolico, dal momento che per la prima volta dall’inizio del conflitto la parola pace non riecheggia come un ignominioso insulto. Tanto che l’Europa si è subito accodata al carro, lodando l’intesa tra Kiev e Washington, anche perché Kiev ha rappresentato le istanze del Vecchio Continente.

A piegare Zelensky, e con lui l’Europa, in verità non è stata solo la determinazione di Trump, ma la realtà, che negli ultimi giorni è tornata a bussare alla porta dei sostenitori di Kiev.

L’Ucraina, infatti, sta rischiando una colossale disfatta a causa dell’improvvisa quanto massiva controffensiva russa nella regione di Kursk, che ha strappato alle forze di Kiev gran parte del territorio russo conquistato in precedenza grazie a una mossa del tutto inattesa, avendo inviato un’unità di commandos dietro le linee nemiche attraverso un gasdotto in disuso.

Il Cremlino e la tregua

“Ora la palla passa a Putin”, ha chiosato il Segretario di Stato Marco Rubio rilanciando, probabilmente non volendo, le speranze di Kiev e Bruxelles, che sperano in un niet russo a un cessate il fuoco tanto striminzito per continuare la guerra.

Il Cremlino, infatti, ha da tempo dichiarato la sua contrarietà a un cessate il fuoco sic et simpliciter, chiedendo piuttosto un accordo globale che rimuova le cause profonde del conflitto, che sono molteplici, essendo peraltro preoccupata dalla sempre più massiccia presenza di forze Nato ai suoi confini (dalla Finlandia, passando ai Paesi baltici fino alla Polonia).

E teme che un cessate il fuoco che non affronti tali problematiche serva solo a dare tempo all’Ucraina per riarmarsi, sia tramite gli Usa che tramite l’Europa, la quale sta imboccando in modalità isterica la via della militarizzazione.

E però, un mese, sebbene possa servire a evitare la rotta totale delle forze ucraine nella regione di Kursk, non è un lasso di tempo bastevole per rafforzare in maniera significativa l’esercito ucraino. Né Putin può rigettare a cuor leggero la proposta, anzitutto perché viene di fatto da Trump, che appare sincero, quanto interessato, nella sua volontà di appianare i contrasti con Mosca.

Così è probabile che lo zar l’accolga, motivando il placet come gesto di buona volontà per porre fine a un conflitto che non vuole far durare all’infinito, ma anche per rafforzare Trump, che incasserebbe un successo indiscusso.

Ragione non ultima, tale placet potrebbe aprire lo spazio a un contatto diretto tra i due leader, che aprirebbe altre prospettive: la revoca di alcune sanzioni, ad esempio, e l’annuncio dell’avvio di negoziati seri.

Insomma, l’accordicchio di Jeddah (“un primo approccio alla questione” scrivevamo ieri) può diventare un primo passo e un volano per iniziare ad avviare negoziati veri, che non possono certo dare esiti in 30 giorni.

Due esempi in tal senso: per arrivare a un accordo di pace al tempo della guerra coreana, peraltro solo un armistizio duraturo, furono necessari due anni di negoziati, mentre la pace vietnamita maturò in quattro anni di trattative. E la guerra ucraina, per la sua portata e per i molteplici attori coinvolti, è molto più complessa di quei conflitti.

Una pausa tattica

In attesa della risposta del Cremlino, che potrebbe smentire le nostre previsioni, occorre mettere in guardia fin da ora sul fatto che il partito della guerra, benché abbia dovuto piegarsi in modalità limitata alle pressioni di Trump, non demorde e farà di tutto per far deragliare le pallide prospettive aperte dal summit saudita. Anche se andasse in vigore la tregua, per tale ambito si tratterebbe di una pausa tattica del conflitto.

Lo denota, tra le altre cose, il fatto che le edizioni online del New York Times e del Washington Post, i media di riferimento dell’establishment liberal/neocon, non hanno dato come prima notizia tale intesa, nonostante si parli di pace dopo anni di guerra, preferendo informare su dazi, crisi Usa-Canada e altro e ancor meno significativo.

Anche nel caso di un sì russo e di un’applicazione del cessate il fuoco continueranno la loro azione sottotraccia per minare le possibilità. Un’opzione di facile attuazione è quella di perseguire una violazione del cessate il fuoco da attribuire ai russi.

Peraltro, va accennato a come un’eventuale tregua con annessi negoziati mini nel profondo il nuovo senso per le armi dell’establishment europeo, che ha puntato sui muscoli per ritrovare un ruolo globale sempre più sfuggente. La sua isteria bellicista, infatti, apparirebbe ancor più folle e vacua.

Per evitare le tante mine che saranno piazzate sul percorso a ostacoli verso l’apertura dei negoziati, Stati Uniti e Russia dovranno agire in coordinato disposto. Lo sanno perfettamente sia a Washington che a Mosca, come evidenzia la conversazione telefonica di ieri tra il capo della Cia John Ratcliffe e il suo omologo russo Sergei Naryshkin, mentre l’uomo di fiducia di Trump, Steve Witkoff, domani è atteso a Mosca per il suo secondo incontro con Putin. Tale l’eterogenesi dei fini innescata dei fautori del contrasto alzo zero alla Russia, che spinge i leader delle due potenze a intensificare i rapporti.

Infine, va notato che Zelensky, pure giunto in Arabia Saudita, ha lasciato il paese prima che le delegazioni americana e ucraina iniziassero i lavori. Particolare non secondario, perché è ovvio che se è volato fino a Riad è perché voleva presenziare all’incontro; né l’assenza di Trump, cioè del suo omologo, spiega la defezione, perché è altrettanto ovvio che ne fosse a conoscenza. Quindi, qualcuno gli ha fatto notare che non era gradito. Si presume che non siano stati gli ucraini…

Putin's spy chief holds phone call with CIA director