Ucraina: trattative in corso
Il Segretario di Stato Usa Tony Blinken ha ribadito pubblicamente ed esplicitamente la richiesta che Kiev arruoli i diciottenni, già tema di pressioni da parte di Washington, ma la dirigenza ucraina ha rigettato nuovamente la richiesta.
Un niet politico nel senso ampio del termine: da una parte la leadership ucraina sa che la misura susciterebbe malcontento in patria, dall’altra è cosciente che l’attuale amministrazione è in via di smantellamento e si può disobbedire, soprattutto perché il futuro presidente americano ha tutt’altre idee sul conflitto.
Ermak negli Usa, Carlson in Russia
Lo sa bene la leadership ucraina, che ha avviato frenetici contatti con la futura amministrazione. Infatti, Andriy Ermak, capo dello staff presidenziale e uomo forte di Kiev, accompagnato dal ministro della Difesa Rustem Umerov, questa settimana si è recato negli Stati Uniti dove ha incontrato il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan – dal momento che non poteva esimersi dall’interloquire con l’ufficialità – ma in parallelo ha avuto una serie di incontri con gli esponenti della nuova amministrazione.
A Mar-e-Lago, infatti, Ermak ha incontrato Susan Wiles, prossimo capo dello staff della Casa Bianca (ciò vuol dire che Trump si è sottratto all’incontro), mentre a Washington ha parlato con James David Vance, prossimo vicepresidente, Mike Waltz, futuro Consigliere per la Sicurezza nazionale, e Keith Kellogg, scelto come inviato speciale per l’Ucraina.
L’Ucraina sta cercando di districarsi dal garbuglio nel quale è precipitata a causa di questa guerra per procura contro la Russia (tale natura del conflitto è stata ammessa apertamente in un’intervista recente dall’ex primo ministro britannico Boris Johnson).
Così Kiev ha iniziato ad aprirsi ai negoziati con la Russia, pur restando su posizioni massimaliste, cosa peraltro comune all’inizio di una trattativa (anche se nelle tante e contraddittorie interviste rilasciate ultimamente, Zelensky ha anche aperto a compromessi territoriali, di fatto obbligati dalla realtà).
Russia e Ucraina non potrebbero essere più distanti, ma i negoziati servono appunto a far avvicinare la parti. L’unica cosa certa, al momento, è che l’Ucraina non entrerà nella Nato, cosa richiesta con insistenza da Kiev ed elusa o addirittura esclusa da tutti i leader occidentali (semmai, se ne parlerà tra venti anni, questa la posizione attuale).
Se si considera che l’invasione del 2022 è stata causata dal netto diniego di Washington di accogliere la richiesta russa di un’assicurazione formale sul fatto che Kiev non sarebbe entrata nella Nato, si può cogliere appieno la follia di aver negato allora quel che oggi è accettato nei fatti.
Quanto alle trattative, altre e più serie ne sono iniziate, stavolta tra russi e americani. La più seria delle quali è quella avviata dall’amministrazione Trump tramite Tucker Carlson, che ha intervistato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.
Lo scrive Ria novosti, rilevando come Carlson non sia solo un famoso anchorman, ma ha un filo diretto con Trump, tanto che fu indicato come possibile vicepresidente. Né va dimenticato che nella scorsa intervista di Carlson a Putin, avvenuta a febbraio, il cronista si era fatto latore di una missione volta a una de-escalation del conflitto tramite la liberazione del dissidente Alexej Navalny (fallita con la morte dello stesso poco prima della scarcerazione).
Tante le formule di pace che circolano sui media, ma vanno prese con la relatività del caso. E però c’è un aspetto sul quale sembrano convergere sia Russia che Ucraina, nonostante le enormi distanze, che cioè i negoziati devono portare a un accordo duraturo.
La telefonata Gerasimov-Brown
Tale convergenza è sottolineata da Strana in un articolo nel quale accenna anche alla telefonata intercorsa il 27 novembre tra il Capo di Stato Maggiore russo Valery Gerasimov e il suo omologo statunitense Charles Brown, resa pubblica dal New York Times alcuni giorni dopo (il primo contatto di Brown col russo dopo la sua recente nomina al Pentagono).
Scarni i resoconti ufficiali: i due avrebbero parlato di “questioni di sicurezza globale e regionale, tra cui la situazione del conflitto ucraino” e il russo avrebbe avvertito l’altro delle imminenti “esercitazioni missilistiche [russe] nel Mediterraneo orientale per ‘prevenire possibili incidenti’ con le navi della NATO”.
Giustamente, rileva Strana, non c’è alcun bisogno di un contatto di così alto livello per avvertire di un’esercitazione perché esistono meccanismi consolidati per queste cose, mentre per quanto riguarda l’Ucraina la vaghezza delle informazioni nasconde ovviamente qualcosa.
Di interesse quanto ipotizza Strana relativamente alla tempistica della telefonata. È giunta dopo i primi attacchi con i missili a lungo raggio americani in territorio russo da parte degli ucraini e la risposta russa con il lancio a sorpresa del missile ipersonico Oreshnik.
Ma, soprattutto, dopo un ulteriore attacco con i missili ATACMS da parte degli ucraini, al quale ha fatto seguito l’avvertimento di Putin di un attacco ai centri decisionali ucraini a Kiev con un altro vettore Oreshnik.
“Da notare – scrive Strana – che l’ultimo attacco sul territorio russo da parte dei missili ATACMS è avvenuto il 25 novembre. E che la chiamata di Gerasimov al Pentagono ha avuto luogo il 27 novembre. Da allora non si sono verificati nuovi attacchi da parte di missili a lungo raggio americani contro la Russia. Così come non ha avuto luogo l’attacco con un missile Oreshnik a Kiev annunciato da Putin”.
A questo si può aggiungere che il 25 novembre i russi avevano colpito un sito di Kharkiv che ospitava consiglieri militari stranieri, uccidendone 40, quasi tutti americani. Tra questi, secondo fonti non ufficiali russe, ci sarebbe stato anche il tenente colonnello Kent Miller, in forza all’esercito canadese. Una notizia smentita dal Comando canadese, che in comunicato del 28 novembre spiegava che Miller, il quale svolgeva funzioni di istruttore in favore degli ucraini, è morto in Belgio a causa di “complicazioni mediche“.
Comunicato invero vago, dal momento che le complicazioni discendono necessariamente da una causa che non veniva dichiarata. D’altronde, se l’ufficiale fosse rimasto vittima di un attacco russo, non avrebbero potuto certo dichiararlo, perché non si può dire pubblicamente che dei militari appartenenti alle forze Nato sono impegnate in Ucraina: sarebbe la terza guerra mondiale che nessuno vuole (anche se alcuni folli, purtroppo potenti, spingono in tal senso). Al di del del mistero sul decesso di povero Miller, è probabile che l’attacco del 25 abbia reso gli Usa più attenti agli avvertimenti di Putin, in genere snobbati.
Trattative in corso, dunque, ma sulla tempistica è inutile farsi illusioni. L’avvento di Trump, sempre se sopravvive alla carica, dovrebbe favorirle, ma non sarà facile arrivare a compimento. Peraltro, gli incidenti di percorso restano in agguato.