“Putin sta vincendo la guerra sui mercati energetici“. Questo il titolo di Javier Blas per Bloomberg, ripubblicato sul Washington Post dell’11 agosto. “Tutti quelli che scommettevano che la produzione di petrolio russa avrebbe continuato a diminuire, me compreso, si sbagliavano“, scrive il notista. Che dettaglia come il commercio del petrolio russo è tornato ai livelli che aveva prima dell’inizio delle ostilità in Ucraina e delle sanzioni anti-russe.
Ucraina: le vittorie di Putin e gli errori della Nato
Tempo di lettura: 4 minuti“Il secondo indicatore [della vittoria di Putin] è il prezzo del petrolio russo. Inizialmente Mosca è stata costretta a vendere il suo greggio a prezzi molto scontati per invogliare gli acquirenti. Nelle ultime settimane, tuttavia, il Cremlino ha riacquistato il potere di pricing [fare il prezzo, ndr], approfittando” della penuria di petrolio.
Si sono sbagliati…
“[…] Con il greggio Brent che si aggira intorno ai 100 dollari al barile e con la Russia in grado di offrire sconti, ci sono un sacco di soldi in arrivo al Cremlino. Almeno per ora, le sanzioni energetiche non funzionano”.
“[…] L’ultimo indicatore del successo russo è politico […]. A marzo e aprile i responsabili politici occidentali erano ottimisti sul fatto che il cartello dell’OPEC, guidato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, avrebbe abbandonato la sua alleanza con la Russia. È avvenuto il contrario”. E ciò, registra il cronista, nonostante le pressioni della Casa Bianca, culminate con il viaggio di Biden in Medio oriente.
La penuria di energia globale sta avendo conseguenze sull’Occidente destinate a incrementarsi: “Una combinazione di freddo, aumento della domanda di elettricità e aumento dei prezzi entro la fine dell’anno rischia di minare il sostegno occidentale all’Ucraina. I politici europei che sono stati ansiosi di ottenere riconoscimenti internazionali ostentando il loro sostegno a Kiev potrebbero essere meno disposti a pagare il conto nazionale per evitare la povertà energetica tra i propri elettori”.
“In pubblico, i governi europei sono ancora risoluti nella loro determinazione a liberarsi dall’energia russa. In privato, devono ammettere le difficoltà che la situazione minaccia di infliggere alle loro economie. Putin sta vincendo la battaglia energetica”.
Sul National Interest del 12 agosto, invece, Gerald Hyman nota come le richieste di sostegno da parte di Zelensky siano ora meno gradite di quanto avveniva in passato (tanto è vero che anche i suoi burattinai lo tengono un po’ nascosto: non appare più ogni dove né i media rilanciano, come prima, ogni suo sospiro).
Tanto che Hyman scrive come sia sempre più “probabile che la sua insistenza [nel chiedere aiuti, ndr] appaia sempre più petulante, ipocrita, incline al rimprovero, esigente, pungente, persino meschina e avida”.
“L’Ucraina non è il loro unico problema [del mondo], nemmeno il più importante. E in realtà, se la Russia può sostenere una lunga guerra di logoramento apparentemente senza fine […] la meritata e sbalorditiva popolarità interna di Zelenskyy potrebbe anche logorarsi mentre il freddo, le privazioni, le lacrime, la distruzione e la devastazione lavorano contro l’attuale rabbia, furia, patriottismo, che potrebbero schiantarsi come avviene per i mare in tempesta contro la dura roccia”.
Tuttavia, neanche questo sembra il futuro. Il senso dell’Europa per Zelensky e per le sue richieste, aggiunge Hyman, “svanirà quando la guerra chiederà il suo tributo non solo agli ucraini ma anche agli alleati”.
“Zelensky è stato chiaro sul fatto che l’Ucraina chiederà 5 miliardi di dollari al mese dai suoi partner, una stima iniziale ora raddoppiata per un tempo indeterminato. Il rispetto indeterminato di tale impegno è improbabile. Mentre la guerra si trascina, sempre più cittadini ed esponenti politici inizieranno a mettere in discussione tale investimento. Le economie alleate si stanno dirigendo verso la recessione e stanno già vacillando sotto gli alti tassi di inflazione”.
Per questo, abbiamo scritto in altra nota, sull’attuale escalation: l’Ucraina deve ottenere un qualche successo che tenga in vita la narrazione di una possibile vittoria ucraina, altrimenti perché investire in una causa persa? Come far accettare ai cittadini europei e americani tante vane sofferenze? (Nulla importando, ovviamente, ai costruttori di guerra delle inani sofferenze del popolo ucraino, condannato al macello).
Le operazioni coperte in Crimea e i missili su Zaporizhzhia
Così, dal momento che la tanto (da tutti i media) pronosticata controffensiva ucraina verso Kherson e Zaporizhzhia tarda ad arrivare – semmai arriverà -, occorre inventarsi qualcosa. Da qui l’importanza assurta alle due azioni di sabotaggio messe a segno in Crimea nell’ultima settimana, con l’esplosione di alcuni depositi di munizioni.
Al di là della paternità degli attacchi – è difficile credere siano stati gli ucraini, sembra più la mano di qualche agenzia specializzata Nato -, si tratta di due azioni isolate, che poco influiscono sull’esito della guerra. basti pensare a come ogni giorno i russi facciano saltare in aria depositi di armi ucraini (cioè Nato). Ma urge qualche successo, come scritto prima.
Di segno diverso è l’altra e più pericolosa escalation, che riguarda il bombardamento della centrale atomica di Zaporizhzhia, che l’Occidente accredita ai russi con l’ottusa convinzione di poter dare una patina di credibilità a tale narrazione, nonostante la sua impossibilità (i russi non bombarderebbero se stessi).
Tale iniziativa ha lo scopo di far pressione sui russi perché si ritirino dall’area, così da permettere di avviare la sospirata controffensiva. Anche se questa non avesse il successo sperato, potrà sempre essere rivenduta come una vittoria, potendo rivendicare la liberazione delle aree smobilitate dai russi (com’è avvenuto, quando all’inizio delle ostilità, i media hanno narrato come una vittoria ucraina il ripiegamento dei russi da Kiev al Donbass).
Ma i missili sulla centrale atomica possono assolvere anche un altro e più oscuro compito. Nel caso in cui si innescasse un incidente nucleare, lo scenario bellico cambierebbe di colpo.
La Nato farebbe fatica a restare neutrale e la Russia subirebbe ulteriori pressioni per ritirarsi, per evitare uno scontro diretto con essa. In alternativa, o in parallelo, il conflitto sarebbe congelato, non ci sarebbero vincitori né vinti (quindi Putin non avrebbe la sua vittoria) e questa guerra sarà ricordata come il capitolo più oscuro della storia dell’umanità dopo o insieme a quello scritto da Adolf Hitler, con marchio di infamia indelebile su Putin e sui russi (questa la narrazione occidentale, ovviamente). Da qui le tante criticità del caso.