Ucraina: il niet di Israele all'invio di armi e il Credo Atlantista
Tempo di lettura: 5 minutiIsraele ha rifiutato di inviare armi in Ucraina, nonostante le insistenze di Kiev. Ma la partita non è ancora chiusa: Kiev ha deciso di avanzare ugualmente una richiesta ufficiale in tal senso e Zelensky ha avuto un incontro virtuale con i leader di alcune organizzazioni internazionali ebraiche perché perorino la causa (Timesofisrael).
L’Iran e la guerra ucraina
La richiesta è sostenuta da una martellante campagna della stampa internazionale che vuole che l’Iran fornisca droni kamikaze alla Russia. Teheran ha negato la circostanza in tutte le sedi, invitando tra l’altro Kiev a un dialogo per dissipare equivoci (Timesofisrael).
Ma i dinieghi di Teheran, accompagnati da quelli moscoviti, cadono nel vuoto. D’altronde da tempo quel che dicono le autorità iraniane in Occidente ha valore scarso o nullo, essendo tale Paese obiettivo di un’aggressione non dichiarata, ma costante, da quando è stata inserita nell’elenco degli Stati canaglia stilato dai neocon, tre dei quali (Iraq, Siria e Libia) sono stati inceneriti o quasi.
Insistendo sull’assistenza iraniana alla Russia, Kiev e i suoi sponsor internazionali ritengono di poter mettere Israele alle strette, dal momento che non si tratta più solo di assistere l’Ucraina, ma di combattere il comune nemico.
E però, nonostante tutto, non sembra così facile riuscire a vincere le resistenze israeliane, anche perché a negare le armi è soprattutto l’esercito. La questione non è più politica, ma di Sicurezza nazionale, cioè esistenziale.
Né sembra che l’Ucraina e i suoi sponsor possano contare molto sull’esito delle elezioni israeliane ormai alle porte, dal momento che Netanyahu, che a oggi è il favorito, ha detto di condividere il niet. Scaltro com’è, ha dichiarato che la sua paura è che le armi israeliane, una volta giunte in Ucraina, finiscano in mano iraniana, usando così le motivazioni su cui è fondata la richiesta di Kiev per rigettarla.
Israele e le armi all’Ucraina
Secondo i media il no israeliano sarebbe dettato dalla necessità di non urtare la Russia, con la quale Tel Aviv ha un tacito patto in Siria, che impedisce all’esercito russo stanziato in quel Paese di frapporsi alle incursioni israeliane contro Damasco.
Le notizie che giungono dalla Siria sembrano confermare tale spiegazione, perché i russi starebbero riducendo le proprie forze, in apparente compenso a Israele per la sua decisione.
Ma è pur vero che tra Israele e le autorità ucraine non corre buon sangue da tempo, come è stato evidente all’inizio della guerra, quando Zelensky è intervenuto alla Knesset per chiedere aiuto, paragonando le sofferenze del suo popolo a quelle degli ebrei sotto il nazismo.
Un paragone che gli israeliani hanno trovato più che offensivo, anche perché sebbene nel mondo occidentale si possa cancellare la memoria storica, nella culla dell’ebraismo no.
E politici e media hanno ricordato a Zelensky lo sterminio degli ebrei compiuto delle milizie naziste ucraine (Piccolenote), oggi celebrate a Kiev come punto di riferimento del nazionalismo ucraino.
Non solo il passo falso di Zelensky. Israele ha avuto anche l’ardire di appoggiare tacitamente la mediazione turca fiorita e morta all’inizio del conflitto ucraino, in opposizione alla spinta di fare del conflitto una guerra infinita.
Il fondamentalismo Atlantista
Ma ci sono altri fattori che rendono tale controversia ancora più accesa. Per comprenderli occorre osservare ciò che va oltre il conflitto in corso, cioè come le nazioni occidentali in questi mesi abbiano dovuto abbracciare una nuova religione, alla quale subordinare gli interessi nazionali: l’Atlantismo.
L’antica alleanza militare, nata per difendere l’Occidente dal comunismo, negli ultimi due decenni è stata dirottata per sostenere le guerre infinite e la lotta al terrorismo internazionale, al quale tali guerre sono state artificiosamente collegate.
Usata per contrapporsi a un fondamentalismo religioso, l’Alleanza atlantica ne è diventata l’altra faccia della medaglia anche a causa all’ascesa dei fondamentalisti neocon, che delle guerre infinite sono stati ispiratori e gestori, nei centri di potere della Nato.
La religione dell’Atlantismo ha trovato nella guerra ucraina il suo momentum epifanico, assumendo un suo Credo specifico, nel quale Putin incarna il demonio e i russi i diavoli, mentre Zelensky è angelicato e il suo popolo venerato come martire.
La Dottrina dell’Atlantismo è quella della Nato e il suo Evangelo chiede che si inondi di armi Kiev per sconfiggere la Russia. Tale religione ha anche i suoi riti, di cui quello iniziatico è la telefonata di supporto a Zelensky o una visita a Kiev, rito al quale sono stati costretti a sottoporsi quasi tutti i leader dei Paesi Nato.
Israele, che pure dovrebbe rientrare nel novero degli Stati atlantisti per i suoi legami storici con Washington, non ha abbracciato tale Credo e continua a esercitare la sua politica estera in base ai propri interessi.
Ciò spiega perché la sua mancata adesione alla richiesta di armi all’Ucraina è tanto dirompente e perché abbia generato un’isteria che non ha giustificazioni (Kiev è talmente inondata di armi che può fare a meno di quelle israeliane).
Il punto è che il no di Tel Aviv non è solo un no a Kiev o alla Nato, ma al Credo dell’Atlantismo. E tale Credo non può tollerare eresie perché rischia di indebolirsi. Per questo la presa di distanza di Tel Aviv deve rientrare.
Le difese aeree all’Ucraina e il ri-orientamento del mondo
Per capire quanto sia profonda la distanza tra Kiev e Tel Aviv è utile leggere una nota della Reuters della scorsa settimana, ripresa da Haaretz.
La nota spiegava che in quei giorni il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov avrebbe dovuto avere una conversazione telefonica con il suo omologo israeliano Benny Gantz, ma che quest’ultimo l’ha annullata in extremis.
Un episodio significativo, ma più significativo ancora quanto Haaretz riferisce riguardo gli approcci pregressi: “Gantz e Reznikov hanno parlato l’ultima volta lo scorso aprile [la guerra è iniziata a fine febbraio ndr]. Una fonte ucraina ha detto ad Haaretz che un’altra conversazione era inizialmente prevista per il 24 agosto, giorno dell’indipendenza dell’Ucraina, e da allora è stata posticipata cinque volte”. E così fino alla telefonata annullata della settimana scorsa…
Passando dalle cose ultime al più prosaico livello militare, val la pena riferire che l’esercito israeliano ha dichiarato che inviare scudi difensivi aerei, come l’Iron Dome di Tel Aviv, in Ucraina, non inciderebbe granché sul conflitto.
Infatti, i russi stanno attaccando con droni prodotti a buon mercato e già questi hanno messo sotto stress le postazioni difensive ucraine. Ma “in caso di un incremento del numero di attacchi [facile dato il costo irrisorio dei droni ndr], niente sarà in grado di aiutare l’esercito ucraino, nemmeno il più avanzato sistema di difesa aerea” (l’intervista agli esperti israeliani al canale televisivo israeliano Kan News è riportata da Aviapro). Ciò fa vedere in altra prospettiva anche il recente invio di scudi difensivi a Kiev ad opera dei Paesi Nato…
Concludiamo riportando un’analisi pubblicata dal Jerusalem Post: “Questa non è una ‘nuova Guerra Fredda‘, ma piuttosto un enorme cambiamento nel mondo: […] da un mondo in cui gli Stati Uniti erano l’unica potenza egemonica globale, alla guida di un ordine mondiale internazionale basato su regole, a un nuovo ordine mondiale che apparentemente dovrebbe essere multipolare, guidato da Cina, Russia, Iran, Turchia e dai loro partner[…]”.
“Quanti hanno predetto l’ascesa dell’Asia, in particolare della Cina, hanno avanzato questa argomentazione per secoli. Non è un segreto che ci sia un’ascesa dell’Asia e un declino, previsto, dell’Occidente”.
Un quadro in movimento. Un Paese come Israele, che può permettersi di gestire i suoi interessi nazionali, può schierarsi, ma può anche decidere di assistere a questo scontro epocale dall’esterno, in attesa di vedere chi vincerà. O, meglio. combinare le due posizioni secondo gli interessi del momento.