Usa-Cina: il rischio reale di una guerra mondiale
Tempo di lettura: 3 minuti“Senza un accordo rischiamo di trovarci in una situazione simile a quella che ha preceduto la prima guerra mondiale”. Così Henry Kissinger, le cui dichiarazioni avevamo riportato e commentato in un’altra nota.
Parole profetiche, dato che i tamburi di guerra stanno diventando sempre più assordanti. Il tour del Segretario di Stato Usa Mike Pompeo in Asia sembra aver dato frutti, rafforzando i legami militari tra Stati Uniti, Australia, India, Giappone, che hanno condotto un’esercitazione congiunta nelle acque prospicenti la regione del Malabar, in prospettiva anti-cinese.
La Nato orientale, l’incubo cinese
“Lo scenario da incubo della Cina di una ‘NATO orientale’ inizia a prendere forma”, scrive a proposito di questa esercitazione Shi Jiangtao sul South China Morning Post.
Sotto questo profilo, e a conferma inquietante di questo folle precipitare delle cose, l’intervento di Mark Esper all’Atlantic Council, nel quale il capo del Pentagono ha esposto la nuova dottrina della Difesa americana.
Questo il passaggio più allarmante del suo intervento: “Si tratta di una competizione tra grandi potenze ed è di natura globale. Vediamo che Russia e Cina sono attive nelle Americhe, in Africa, in Medio Oriente, nell’Artico, nell’Antartico. Quindi dobbiamo competere e dobbiamo competere in modo aggressivo, tutti noi, insieme. E, se la deterrenza fallisce, dobbiamo essere preparati al peggio“.
Così non stupisce che alcuni giorni fa il presidente cinese Xi Jinping, visitando una base dei marines del PLA (l’esercito popolare cinese), abbia detto ai suoi soldati di “prepararsi per una guerra” (Global Times).
Né che il 20 ottobre i media cinesi abbiano annunciato che il 23 ottobre, 70° anniversario dell’intervento della Cina nella guerra coreana a fianco di Pyongyang, il presidente cinese terrà un “importante discorso“, dove va notata l’enfasi conferita al termine “importante”.
Ricordare quel lontano conflitto contro gli Stati Uniti darà modo al presidente cinese di parlare del presente e dei suoi rischi di una guerra aperta tra i due Paesi.
A rafforzare questa impressione il fatto che i media cinesi abbiano annunciato il discorso di Xi subito dopo la decisione dell’Australia di partecipare alle esercitazioni del Malabar.
Né aiuta a smorzare tensioni il massivo afflusso di armi Usa a Taiwan: di ieri l’annuncio di una ulteriore invio per 1.4 miliardi di dollari.
Un precedente storico aiuta a comprendere meglio la situazione: mai il mondo fu così vicino a una guerra mondiale come quando Mosca decise di inviare delle testate atomiche a Cuba. Anche in quel caso si trattava di un’isola separata dal cuore della potenza antagonista da poche migliaia di chilometri.
Certo, gli Usa non stanno armando Taipei con testate nucleari, ma l’idea di avere dei missili puntati su Pechino non deve rassicurare molto la dirigenza cinese.
Putin, Trump e le armi atomiche
A sedare, solo in parte, certe legittime apprensioni, gli sviluppi del dialogo tra Stati Uniti e Russia sullo START III, cioè l’intesa sulla non proliferazione delle armi nucleari che, dopo il ritiro di Washington, andrà in scadenza a febbraio, col rischio di una nuova corsa all’atomica.
Fallito il tentativo americano di delineare un nuovo accordo quadro prima delle presidenziali Usa, che avrebbe dovuto essere definito nei dettagli successivamente, sembrava che il treno fosse perduto.
A farlo deragliare erano stati i russi, che avevano spiegato alla controparte – ansiosa di raggiungere a breve un’intesa a tutti i costi – che c’era poco tempo per dar forma a un’intesa tanto complessa, seppur nei termini generici di un accordo quadro.
Avevano cioè rifiutato di allestire un folcloristico show elettorale a uso e consumo del presidente americano.
Sembrava tutto perduto prima del rilancio di Putin che, col solito realismo, aveva proposto una cosa molto più semplice: firmare entro il 3 novembre un’intesa che prolunghi di un anno l’attuale START III, dando così tempo e modo alle parti di concordare un nuovo trattato.
La proposta non è caduta nel vuoto, ma è ancora presto per sapere se si concretizzerà.
Ps. Nel suo intervento all’Atlantic Council, Mark Esper, per illustrare quanto sia importante anche l’alleanza con i Paesi piccoli e apparentemente insignificanti dal punto di vista geopolitico, ha fatto un curioso riferimento alla storia americana, che riportiamo di seguito:
“La maggior parte delle persone conosce il ruolo fondamentale che il più antico alleato dell’America – la Francia – ha svolto nella fondazione della nostra nazione. Ma meno noto è il fatto che 1.800 cavalieri e volontari di Malta si sono arruolati nella Marina francese per aiutare gli americani nella causa della libertà. Insieme, hanno svolto un ruolo decisivo nella battaglia del Chesapeake, interrompendo il sostegno marittimo alle forze britanniche a Yorktown e, infine, costringendoli alla resa”.
“Solo pochi decenni dopo, Malta ha intensificato nuovamente i rapporti, fornendo un porto chiave per le navi americane nella lotta contro i pirati barbareschi”.
“E nel XX secolo, gli Stati Uniti hanno risposto alla chiamata dopo che le potenze dell’Asse hanno intrapreso una campagna di bombardamenti incessante contro Malta durante la seconda guerra mondiale. Attraverso operazioni di rifornimento, le nazioni alleate ruppero l’assedio dell’Asse, salvando il popolo di Malta e stabilendo una rampa di lancio per la vittoria in Nord Africa”.