Haaretz: USA-Iran tacito accordo sul nucleare
Tempo di lettura: 3 minutiIran e Stati Uniti sembrano aver raggiunto un tacito accordo sulla querelle del nucleare di Teheran. Ne scrive Amos Harel su Haaretz, che spiega: “Sotto la spinta dell’amministrazione Biden, i media internazionali stanno scrivendo di intese emergenti il cui obiettivo è la de-escalation, una riduzione degli attriti. In pratica, quello che si sta delineando assomiglia più a un accordo non scritto, del quale una parte significativa si sta già realizzando”. Un accordo tacito, scrive Harel, perché l’amministrazione Biden non può parlarne pubblicamente, dal momento che provocherebbe le irate reazioni dei falchi anti-Teheran.
Le basi dell’accordo sul nucleare
“L’iniziativa statunitense – continua Harel – si basa su un congelamento in cambio di un rilascio. L’Iran si è impegnato a non arricchire l’uranio oltre il 60%, cioè a non raggiungere il livello del 90%, necessario per produrre armi nucleari. Washington, da parte sua, ha ritirato la sua opposizione al dissequestro di asset iraniani per un valore di 20 miliardi di dollari congelati nelle banche di diversi paesi. L’Iran e i paesi occidentali rilasceranno reciprocamente i prigionieri e le vittime dei vari sequestri [incrociati]. Queste intese non ufficiali hanno già avuto degli effetti e sembra che l’Iran abbia rallentato, se non fermato, l’arricchimento dell’uranio”.
Gli ambigui rapporti Usa-Israele
Certo, gli Stati Uniti continuano a brandire la minaccia del nucleare iraniano e a condurre esercitazioni congiunte con Israele per contrastare Teheran, ma la loro attenzione è più concentrata a evitare che “Israele li colga di sorpresa con un attacco in solitaria contro l’Iran”.
Sul punto Harel ricorda come al tempo di Obama, il quale temeva che Netanyahu attaccasse Teheran senza informarne Washington, “gli Stati Uniti fecero un grande sforzo, sia per raccogliere informazioni in via amichevole che in iniziative che potrebbero definirsi di ‘influenza morbida’, per garantire che uno scenario del genere non si verificasse. Da allora, è cambiata una cosa importante: l’amministrazione Biden si fida di Netanyahu ancor meno dell’amministrazione di Barack Obama”. Insomma, l’attenzione USA in tal senso è semmai aumentata.
L’obiettivo di Washington è “garantire che le cose si mantengano in una situazione di fuoco lento. Grazie alle intese l’Iran non procederà a ritmo spedito verso la nuclearizzazione e la probabilità di un attacco israeliano si è significativamente ridotta. Washington spera di utilizzare questo tempo per concentrarsi sui due fronti che nella sua prospettiva sono principali: Cina e Russia-Ucraina. L’aspettativa più rilevante riguardo Israele è che non interferisca”.
Netanyahu ha altre grane
In realtà, secondo Harel, non sembra che Israele stia rompendo le uova nel paniere: “Netanyahu si è accontentato di avanzare obiezioni sul piano verbale, ma in realtà non ha organizzato una campagna concreta contro le intese” (come invece ha fatto in passato). E in Israele gli “esperti”, della Difesa e dell’intelligence, “dicono che è davvero una buona idea, considerando le alternative”, che poi si riducono a una: la guerra.
Peraltro, Netanyahu in questo momento ha ben altre grane da pelare, con le proteste contro la riforma giudiziaria liberticida da lui varata che infiammano il Paese e le spinte estremiste delle forze che sostengono il suo governo che stanno alimentando in modalità impazzita il conflitto con i palestinesi. Un confronto più intenso con l’Iran, in questo momento, potrebbe risultare poco gestibile. Così ben venga la tregua cercata, e a quanto pare attuata, dall’amministrazione Biden. Almeno per ora è così (sul tema si naviga a vista da anni).
Peraltro, in questi mesi l’Iran è particolarmente attivo nell’agone globale. Non solo ha stretto un accordo storico con le monarchie del Golfo, ma sta anche intensificando i rapporti col Sudamerica, come palesa la recente visita del presidente Ebrahim Raisi in Venezuela, Nicaragua e a Cuba. Visita alla quale ha fatto seguito il sorprendente viaggio in Africa di questi giorni, in Kenya, Uganda e Zimbabwe. Teheran è uscita dall’angolo nel quale è stata ricacciata da decenni. E si muove come un attore di primo piano del nuovo mondo multipolare. Sviluppi da seguire.
Ps. L’intesa Usa-Iran, sempre che sia stata portata a compimento come afferma Harel, non è stata certo facile, essendo la querelle particolarmente a rischio sabotaggio, come evidenzia quanto avvenuto negli ultimi anni, caratterizzati da stop and go improvvidi e improvvisi.
A indicare le difficoltà attuali, lo scandalo che ha travolto l’inviato speciale per l’Iran Rob Malley, allontanato dal suo incarico a causa della violazione del protocollo di sicurezza dei documenti riservati. Malley fu uno dei tessitori dell’accordo a suo tempo siglato con Teheran dal presidente Obama e ha svolto un ruolo di primo piano nella ripresa dei contatti.
Lo scandalo è emerso in tutta la sua virulenza quando si era sparsa la notizia che Usa e Iran stessero firmando un accordo ufficiale. Ma, a quanto pare, la sua defenestrazione non ha portato al collasso del dialogo, proseguito e portato a un livello più avanzato in via più riservata. I falchi non si rassegneranno facilmente.