Usa: la Corte Suprema rigetta il ricorso di Trump. Biden presidente
Tempo di lettura: 2 minutiLa Corte Suprema degli Stati Uniti rigetta il ricorso dal Texas che chiedeva di annullare la certificazione dei risultati elettorali dei cosiddetti Stati chiave, quelli che hanno deciso la vittoria del candidato del partito democratico. Lunedì, quindi, i delegati eletti nei vari Stati voteranno per il prossimo presidente Usa, che quindi sarà Biden.
Era alquanto ovvio, la Corte non poteva annullare con una sentenza il processo elettorale. Rudy Giuliani, a capo del team legale del presidente, afferma che la battaglia non è finita e così anche Trump, che nello specifico ha rimproverato alla Corte la mancanza di “coraggio”. Ma sanno benissimo che la corsa per la presidenza è chiusa.
D’altronde che non c’era alcuna speranza che il ricorso fosse accolto. Lo segnala, peraltro, anche l’apertura di un’inchiesta dell’Fbi sul procuratore generale del Texas, Ken Paxton, il magistrato che aveva firmato il ricorso (The Hill).
Inchiesta per abuso di ufficio, poca roba, ma segnale inequivocabile. E Trump, commentando con un laconico tweet la decisione – un cinguettio nel quale si dice deluso e deplora la “mancanza di coraggio” della Corte -, ha in qualche modo segnalato quello che lui annota come un tradimento dei giudici della Corte di tendenza conservatrice, che non hanno nemmeno lottato per la sua causa.
In realtà, c’era sostanza nel ricorso, dato che suona davvero bizzarro che il Covid-19 abbia impossibilitato un voto normale negli Stati chiave, tale il motivo addotto dai democratici per cambiare le regole elettorali in tali Stati – rendendo vano ogni riscontro -, mentre tale impossibilità non si è registrata altrove.
Ma la sostanza in questa controversia nulla conta: contano i rapporti di forza. E la forza non sta con Trump, che può contare solo sui suoi sostenitori e una parte del suo partito, quella che non si riconosce nell’establishement,
Detto questo, non è poco, dato anche il favore di cui gode in vari ambiti economici che sanno perfettamente che il nuovo regime, che vede la Tecnofinanza colorarsi di verde, non gli lascerà neanche le briciole (come anche ai tanti che hanno poco, ai quali si cercherà di togliere anche quel poco che hanno).
Così l’idea di Trump di continuare la battaglia non è del tutto vana. Ha, peraltro, un precedente: quando a vincere la corsa presidenziale è stato lui, la Clinton e i suoi fautori, cioè l’establishement, non hanno accettato affatto la sconfitta, nel nome della lotta continua.
Non solo, hanno reso la normale dialettica politica americana una lotta esistenziale, identificando la battaglia contro la presidenza Trump come una lotta contro una dittatura, e tale resterà, dato che vale anche all’inverso.
Da qui la possibilità di sopravvivenza del Tribuno del popolo, sempre che riesca a evitare di fare una brutta fine. Il Dallas Morning News segnala che in Texas si torna a parlare di secessione. Non accadrà, ma è un segnale.
Non è finita, ha ragione Giuliani. Ad oggi è arduo immaginare come proseguirà lo scontro tra patrizi e plebei nel cuore dell’Impero, ma una volta che la lotta politica è diventata lotta esistenziale è difficile tornare indietro. Vedremo.