Usa - Israele: la rivolta dei funzionari contro Biden
“Decine di dipendenti del Dipartimento di Stato hanno firmato promemoria interni indirizzati al Segretario di Stato Antony J. Blinken esprimendo un grave disaccordo con l’approccio dell’amministrazione Biden alla campagna militare israeliana a Gaza”. Così il New York Times.
I funzionari americani, infatti, hanno la possibilità di esprimere il proprio disaccordo sulla politica dall’amministrazione attraverso un canale dedicato allo scopo, istituito dopo la guerra al Vietnam. Nel caso specifico, è stato messo in discussione l’appoggio incondizionato a Israele ed è stato chiesto alla Casa Bianca di spendersi per un “cessate il fuoco”, cosa che finora ha evitato optando per delle più blande pause umanitarie.
Tante le note di dissenso, tra le quali quella “feroce” resa pubblica in precedenza da Axios, “firmata da 100 dipendenti del Dipartimento di Stato e dell’USAID” (organismo interno al dipartimento), nella quale si accusa la Casa Bianca di complicità nel “genocidio” di Gaza.
Dissenso dilagante, la rivolta dei funzionari
Ma a chiedere un’inversione di tendenza non sono solo i funzionari del Dipartimento di Stato. Riportiamo dal Wall Street Journal dell’11 novembre: “Mercoledì più di 100 membri dello staff del Congresso hanno organizzato uno sciopero al Campidoglio degli Stati Uniti a sostegno del cessate il fuoco nella guerra tra Israele e Hamas”.
Per inciso, una decina di ambasciatori francesi in forza nel mondo arabo hanno espresso analoghe preoccupazioni per la politica squilibrata di Macron nei confronti di Israele (“un gesto senza precedenti” quello dei legati, annota le Figaro).
Il dissenso dilagante nell’ambito dell’amministrazione americana è analizzato da Stephen Wertheim sul New York Times di oggi, nel quale si rimprovera a Biden una mancanza di realismo, avendo egli pensato che sarebbe bastato suggerire a Israele di rispettare le leggi di guerra per moderare la sua reazione all’attacco del 7 ottobre. Era ovvio che non “prestasse ascolto alle semplici parole di Washington”.
Ma, prosegue il cronista, “è Biden che non ha imparato dagli errori dell’America, gettandosi a capofitto nell’ultima guerra. Sostenendo Israele incondizionatamente e non difendendo anche i diritti dei palestinesi, ha reso gli Stati Uniti complici di qualunque cosa Israele avesse fatto successivamente. I costi, in termini di prestigio e potere americano, si sono rivelati già notevoli. E può andare ancora peggio”.
Tra terrorismo palestinese e occupazione israeliana
“Nei giorni successivi al 7 ottobre, Biden ha avuto l’opportunità di modellare la risposta di Israele definendo pubblicamente che tipo di azioni gli Stati Uniti avrebbero e non avrebbero sostenuto”. Non l’ha fatto e “adesso gli Stati Uniti si ritrovano a seguire Israele in una guerra brutale ‘di durata indeterminata, a costi indeterminati, con conseguenze indeterminate‘, come Barack Obama, allora senatore, descrisse l’invasione dell’Iraq prima che iniziasse“.
Interessante il passaggio nel quale specifica l’errore del presidente degli Stati Uniti: “Evitando l’ovvia realtà che l’occupazione israeliana della terra palestinese è al centro del conflitto, Biden ha descritto i palestinesi o come terroristi malvagi o come civili innocenti meritevoli di protezione umanitaria. Ma i palestinesi sono soprattutto attori politici che cercano l’autodeterminazione e rifiutano di essere ignorati. Il linguaggio deviante e ideologico di Biden : ‘I terroristi non vinceranno. La libertà vincerà’ – ignora che il terrorismo palestinese e l’occupazione israeliana stanno rafforzando le ingiustizie e che ostacolano entrambi la via della pace”.
Piccola digressione: René Giraud, cronista di lungo corso de Le Figaro, ha raccontato che il giorno degli accordi di pace di Oslo, ratificati il13 settembre del 1993, “Ho visto i bambini di Gaza correre ad abbracciare e baciare i soldati israeliani”. La pace, ricordo lontano e speranza ineffabile…
L’America isolata
Tornando al duro presente, Wertheim spiega che la querelle sul futuro di Gaza – se sarà sotto occupazione israeliana, come vorrebbe tanta leadership di Tel Aviv, o controllata dall’Autorità palestinese, come chiede Biden – è un ballon d’essai, che elude ancora una volta l’urgenza di dare uno Stato ai palestinesi.
Detto questo, le elezioni si approssimano e, secondo Wertheim, Biden dovrà tener conto della popolarità della causa israeliana in America, da cui un’ancora minore pressione sull’alleato mediorientale. Ma “la posizione unilaterale di Biden sminuisce e distrae da ogni altra priorità di politica estera”, rischia di trascinare gli Stati Uniti una più ampia guerra mediorientale e la sta isolando.
“Washington sta perdendo influenza in tutto il mondo. – annota, infatti, Wertheim – Dopo aver implorato i paesi non occidentali a opporsi alla Russia per aver occupato il territorio ucraino e per aver preso di mira le sue infrastrutture civili, gli Stati Uniti appaiono palesemente senza principi restando al passo di Israele mentre occupa la terra palestinese e nega cibo, acqua ed elettricità a Gaza”.
Pressioni in aumento, ma…
Le pressioni perché Israele si fermi sono destinate ad aumentare nelle prossime due o tre settimane, ha detto ieri il ministro degli Esteri Eli Cohen, aggiungendo, però, che la guerra continuerà finché verranno raggiunti gli obiettivi dichiarati: eliminare Hamas e liberare gli ostaggi. Nello specifico, ha affermato: “Il mondo accetta che Israele non si fermi finché non avrà liberato i prigionieri”.ù
Affermazione che non sembra conciliarsi con quanto riportava il Guardian il 9 novembre: “Benjamin Netanyahu ha rifiutato un accordo per un cessate il fuoco di cinque giorni con i gruppi militanti palestinesi a Gaza in cambio del rilascio di alcuni degli ostaggi tenuti nel territorio all’inizio della guerra, secondo fonti vicine ai negoziati”.
“[…] Secondo tre fonti a conoscenza delle trattative, l’accordo originario sul tavolo prevedeva la liberazione di bambini, donne, anziani e malati in cambio di un cessate il fuoco di cinque giorni, ma il governo israeliano ha rifiutato e ha dimostrato il suo rifiuto con il lancio dell’offensiva di terra”.