Venezuela-Ucraina-Georgia: il destino degli oppositori
Ha fatto notizia l’asserito arresto della leader dell’opposizione venezuelana María Corina Machado, che ha suscitato l’indignazione di tanta leadership occidentale. In realtà, la donna non è stata affatto arrestata, risulta libera, quindi o è stata semplicemente fermata o la notizia fatta circolare dall’interessata è falsa, come da affermazioni delle autorità venezuelane.
Il mistero dell’arresto e il regime ucraino
Date le opposte versioni è impossibile districarsi sul punto, anche se è invero difficile immaginare che la leader dell’opposizione non giri con qualcuno dotato di un cellulare e pronto a mandare via etere la breve cattura, che sarebbe stato prontamente rilanciato dai media che la sostengono (un po’ tutti, in Occidente). Non risulta nessun video del fermo.
Al di là della querelle venezuelana, che si arricchisce della notizia che il leader che ha perso le elezioni, González Urrutia, si appresterebbe a formare un governo in esilio riconosciuto dall’Occidente – reiterando i fasti di Juan Guidò per il cui triste destino i suoi sponsor non hanno speso una lacrima – si registra come nessuno dei leader occidentali abbia speso una parola per denunciare o almeno chiedere conto al presidente ucraino Zelensky, alfiere della libertà, delle notizie sulla possibile estromissione del suo competitor Zaluzhny dalle prossime elezioni ucraine, sempre se si terranno.
Infatti, si legge su Strana che “i media ucraini confermano l’informazione pubblicata un mese fa da Strana, secondo la quale l’Ufficio del Presidente sta convincendo l’ambasciatore in Gran Bretagna Valery Zaluzhny a non presentarsi alle elezioni presidenziali per dare a Vladimir Zelensky l’opportunità di essere rieletto. Lo scrive oggi anche il Telegraph, citando una fonte vicina al presidente”.
“Secondo i media, se tale proposta non viene accettata, l’ex comandante in capo delle Forze armate ucraine è stato minacciato di procedimenti penali, in particolare in connessione con la ‘resa’ della regione di Kherson all’inizio dell’invasione russa”.
Destini paralleli, dunque, ma raccontati in maniera diversa dai media d’Occidente. Peraltro, quel che accade in Venezuela ha tutto l’aspetto dell’ennesima manovra di regime-change, che da tempo si dipanano secondo uno schema consolidato.
I leader e/o i partiti sgraditi all’Occidente, usciti vincenti da qualche elezione, sono subito accusati di frodi elettorali, quindi iniziano le proteste di piazza, appoggiate dai media e dai leader politici occidentali, a volte con seguito di sanzioni, comminate o minacciate, nel tentativo di dare una spallata al potere locale sgradito, per poi procedere, se si ha la forza, a un’insurrezione “popolare”.
Uno schema che si ripete da anni sempre uguale a se stesso, così che diffidare da certe proteste per presunti brogli elettorali è d’obbligo se si vuole evitare di favorire manovre oscure; e ciò non aiuta a chiarire cose, che magari la frode si è consumata davvero.
Inoltre, nel caso venezuelano, la nomina di Marco Rubio a prossimo capo del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non aiuta a guardare l’opposizione venezuelana come qualcosa di non etero-diretto, dal momento che il personaggio da tempo è ingaggiato nei regime-change, tentati o riusciti, in particolare in Sud America, con una predilezione per quelli diretti contro la vicina Cuba.
Il regime-change in Georgia
Qualcosa di analogo si sta consumando in Georgia, che da tempo l’Occidente aveva portato nella sua orbita facendone un suddito obbediente, ma che ultimamente, con la svolta del partito maggioritario Sogno georgiano, ha preso le distanze dai suoi interessati alleati.
Anche qui si sono registrate proteste di piazza dopo le elezioni che a detta delle opposizioni sarebbero state rubate da Sogno georgiano, anche se a gestire il voto è stata una società accreditata anche per elezioni americane e il risultato è stato confermato, nonostante diverse riserve, dall’Osce (vedi Piccolenote).
Nel caos conseguente, e nonostante le pressioni occidentali per ripetere il voto, Sogno georgiano è andato avanti fino a eleggere un altro presidente al posto di Salomé Zurabishvili, che si era messa a capo delle proteste e si era rifiutata di lasciare il posto al nuovo presidente, nonostante il suo mandato fosse scaduto.
La donna, francese di nascita, era stata inviata in Georgia come ambasciatrice del Paese transalpino, incarico che ha svolto per un solo anno al termine del quale, avendo preso la cittadinanza georgiana, è diventata subito ministro degli Esteri. Carriera fulminante, che l’ha portata sempre più in alto, fino alla carica di Capo dello Stato, conseguita nel 2018, ma fulminata dalla recente vittoria dei suoi antagonisti, contro i quali lancia i soliti strali diretti a connotarli come longa manus dei russi.
In realtà, come ha scritto Artim Dersimonian su Responsible Statecraft, Sogno georgiano non nasce affatto come forza filo-russa, solo che, a un certo punto, ha avviato un processo di distensione con Mosca, volendo chiudere pericolose conflittualità pregresse; una mossa che l’Occidente ha inteso come un tradimento iniziando a esercitare pressioni debite e indebite contro il partito georgiano, che gli hanno alienato le simpatie dei suoi membri.
Al di là, resta appunto la tenace opposizione della Zurabishvili, che continua a dichiararsi presidente legittimo del Paese, altra analogia con il Guaidò venezuelano, pretesa che in una nazione occidentale gli costerebbe la prigione per alto tradimento e tentato golpe, mentre nel suo Paese resta libera, a dimostrazione della forza dei suoi sponsor e dell’assenza di pulsioni liberticide nei suoi antagonisti.
La querelle è destinata a durare e a sclerotizzarsi, dal momento che, essendo ormai noto a tutti lo schema dei regime-change, sarà difficile che si instauri un dialogo tra le parti. La storia, infatti, da Maidan in poi (e anche prima di Maidan), ha dimostrato che se anche un governo bersaglio di un regime-change tenta la via del compromesso, le forze di opposizione etero-dirette alzeranno l’asticella delle richieste, così che il dialogo ha come unico esito l’indebolimento del governo stesso.
In attesa degli eventi, si registra che la Zurabishvili è stata cooptata dal McCain Institute dell’Arizona, istituzione che si ispira a uno dei più autorevoli e bellicosi esponenti neocon Usa, che ha disseminato il mondo di tragedie.
Un destino parallelo a quello dell’ex premier finlandese Sanna Marin, che ha traghettato il suo Paese nella Nato poco prima di subire una sonora sconfitta elettorale. Anch’essa, invece di finire ai giardinetti, locazione forse a lei più consona, fu subito cooptata nell’Institute for Global Change dell’ex primo ministro britannico Tony Blair, l’uomo dell’invasione dell’Iraq. I falchi iper-atlantisti non abbandonano i loro preziosi adepti.