Via McCarthy dalla Camera USA, vince Trump
La rimozione di Kevin McCarthy dalla presidenza della Camera è stata forse la prima vera vittoria di Trump dopo la sconfitta alle scorse elezioni. La ribellione dei repubblicani a lui più vicini, guidati dal pugnace Matt Gaetz, sembrava votata al fallimento, avendo questi contro una parte del loro partito e i democratici. Ma è accaduto l’imprevedibile, cioè che McCarthy si è suicidato e ha perso.
Il “suicidio” di McCarthy
McCarthy, infatti, aveva prima rigettato l’invito dei democratici di chiedere i loro voti, per poi accusarli di aver portato il Paese sull’orlo del baratro per aver rifiutato di accedere a un compromesso sulla legge di bilancio.
Infatti, nei giorni pregressi c’è stato un confrontato serrato sulle due bozze – quella licenziata al Senato, a maggioranza democratica, e quella prodotta dalla Camera, a maggioranza repubblicana – per definire la nuova legge di bilancio che avrebbe dovuto essere varata entro sabato scorso, pena la chiusura del governo (shutdown), ma le rispettive rigidità hanno impedito il compromesso.
Così si è rischiato la chiusura del governo, che avrebbe interrotto i finanziamenti alla macchina amministrativa degli Stati Uniti e a tanto altro. Ma a fare la parte del leone in questi giorni è stato, appunto, il manipolo dei repubblicani ribelli, che ha resistito sulle sue posizioni, in particolare sulla chiusura dei rubinetti all’Ucraina.
Non avendo trovato il compromesso tra le due bozze ed essendo il testo prodotto dai repubblicani l’unico che poteva avere i voti necessari, i democratici sono stati costretti a votarlo per evitare lo shutdown, ma depotenziandolo: la legge di bilancio varata è solo provvisoria e il Congresso ha altri 45 giorni per produrre un altro testo.
Uno strappo alla democrazia
Tale strappo, realizzato dalle forze al potere (ben rappresentate al Congresso) per avere più tempo per imporre i propri desiderata, è stato salutato come una trovata per salvare la democrazia, mentre è l’esatto opposto.
Particolare non indifferente, a siglare l’accordo sottobanco per attuare tale strappo è stato McCarthy, cosicché i trumpiani, oltre che di intelligenza col nemico, lo hanno accusato anche di aver tradito patti pregressi.
Infatti, la sua candidatura alla presidenza del Senato era stata osteggiata da questa pattuglia di repubblicani, i quali gli avevano fatto mancare i loro sostegno mandando a vuoto diverse votazioni. Tanto che, alla fine, McCarthy aveva dovuto capitolare concordando un patto secondo il quale tutte le sue iniziative avrebbero dovuto passare al vaglio dei suddetti. Nel caso specifico, e su un tema tanto importante, McCarthy non li ha consultati affatto.
Al posto del dimissionato, come presidente pro-tempore della Camera, è asceso il deputato, suo amico, Patrick McHenry che, come vuole una norma varata dopo l’11 settembre 2001, era stato nominato a tale eventuale successione nel segreto (norma varata per evitare che la carica resti vacante).
Il ruolo di McHenry dovrebbe ridursi a presiedere l’aula in attesa che si elegga un nuovo presidente, ma se le votazioni si prolungassero non sono impossibili altri strappi ai meccanismi democratici.
Un presidente democratico?
Detto questo, resta da vedere se i repubblicani voteranno compatti un altro presidente che sia loro espressione, dal momento che il partito è lacerato e diversi esponenti repubblicani sono più a loro agio con i democratici che non con i loro compagni, in particolare sui temi di politica estera (vedi fondi all’Ucraina).
Tanto che potrebbero decidere di votare un presidente democratico, eventualità più probabile se i tempi si allungassero. Così, reputare che gli Stati Uniti siano destinati a tagliare i fondi all’Ucraina è lecito, ma al momento è solo una possibilità.
Questa, appunto, la vera posta in gioco, perché se venissero a mancare i fondi USA sarebbe difficile per Zelenky continuare a propugnare la prosecuzione del conflitto fino all’ultimo ucraino, perché la Ue non può sobbarcarsi da sola tale peso, soprattutto in un momento di recessione come l’attuale.
Peraltro, la notizia di oggi che l’adesione dell’Ucraina alla Ue costerebbe 186 miliardi di euro è un’altra doccia fredda per gli entusiasti della guerra infinita, che avevano fatto pressioni su tale prospettiva (invero suicida per il Vecchio Continente) perché prometteva un irenico Endgame a Kiev, che con queste cifre si allontana.
“Potrebbero uccidere Elon…”
Fattasi più ardua la prospettiva di una ricomprensione nell’ecumene europeo, senza luce in fondo al tunnel, quanti in Ucraina hanno ancora un barlume di lucidità potrebbero comprendere che prima la guerra finisce meglio è.
A rischio non sono solo le regioni controllate dalla Russia, ma l’intero territorio, avviato verso il triste destino che accomuna i tanti Stati falliti prodotti dalle guerre infinite che hanno arricchito l’apparato militar industriale USA e incrementato il potere dei loro terminali politici, liberal e neocon. Ma su questo ci torneremo nella nota correlata.
Per inciso, se nel titolo abbiamo segnalato la “vittoria di Trump”, al quale certo fanno riferimento i repubblicani ribelli, c’è tanta America dietro questa svolta. Anzitutto i cittadini americani, sempre più critici verso il sostegno all’Ucraina, ma anche tanto potere avverso a tale follia, un potere a cui dà voce Elon Musk, che negli ultimi giorni ha ingaggiato un vero e proprio duello con la leadership di Kiev sul tema dei finanziamenti. Coraggioso. Il padre Errol, in un’intervista rilasciata al Sun a inizi settembre aveva detto: “Potrebbero uccidere Elon“…