Washington Post: come può finire la guerra ucraina
Tempo di lettura: 4 minutiSul Washington Post Graham Allison firma un articolo molto interessante sul conflitto ucraino, nel quale dà quattro risposte ad altrettante domande scomode, che devono comunque essere poste per fare i conti con la realtà e superare le fumisterie propagandistiche.
Anzitutto annota che, “mentre consideriamo la strada da percorrere, non possiamo eludere il dato brutale che Putin gestisce un arsenale fatto di circa 6.000 testate nucleari, che potrebbero ucciderci tutti”. Tema, si può aggiungere, che la stampa d’Occidente tende a eludere, perché rischia di far porre domande scomode sull’opportunità di inviare armi sempre più potenti e sofisticate a Kiev.
Non umiliare l’avversario dotato di armi nucleari
Al di là della premessa, la prima considerazione di Allison riguarda l’impossibilità dell’America di impegnarsi in un conflitto diretto con la Russia, non potendo essa permettersi una guerra globale. Punto che va sottolineato, nonostante la sua ovvietà, perché troppo spesso si levano voci che incitano in tal senso.
“Secondo: ha ragione il direttore della CIA William J. Burns quando afferma che l’Ucraina è una guerra che Putin ‘ritiene che non può permettersi di perdere?’ Sì: se le condizioni sul campo di battaglia costringono Putin a scegliere tra una perdita umiliante da un lato e un’escalation dall’altro, è probabile che scelga quest’ultima”.
Sul punto ricorda anche una lucida riflessione di John F. Kennedy: “Mentre siamo impegnati a difendere i nostri interessi vitali, le potenze nucleari devono però evitare quei conflitti che inducano l’avversario a dover scegliere tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare”.
Al terzo punto, Allison spiega che, anche se la Russia finirà col conservare sotto il suo controllo una parte di territorio ucraino, avrà comunque perso, dal momento che la guerra ha avuto come esito il consolidamento della controparte, che ha un’economia “20 volte” più forte di quella russa, oltre ad aver favorito l’allargamento della Nato e aperto una nuova Guerra Fredda che vede Mosca isolata.
Last but not least, Allison conclude affermando che lo scenario post bellico dell’Ucraina potrebbe essere simile a quello della Germania dopo la Seconda guerra mondiale, con l’Ovest fiorente diviso dall’Est depresso. Due realtà che hanno convissuto a lungo finché l’Ovest, grazie al suo sviluppo, alla fine ha riassorbito l’Est, ricomponendo la frattura.
Certo, nella visione complessiva di Allison c’è una forte impronta nazionalista e magari certe prospettive progressive da lui prospettate per l’Occidente sono forse un po’ troppo ireniche, ma è un modo come un altro per esortare l’America a tornare alla ragione e chiudere la guerra.
Peraltro, questo articolo non fa altro che riproporre in altro modo quanto riferiva il mese scorso un documento più articolato della Rand Corporation, centro di analisi legato alla Cia, che osservava come agli Stati Uniti convenga porre fine alle ostilità (si noti come l’articolo del Wp riprenda una riflessione del capo dell’Agenzia di intelligence Usa, forse non a caso).
Il fatto che tali considerazioni siano state espresse in un articolo del Washington Post ha un suo peso. Un segno che nell’establishment Usa permane ancora un residuo di lucidità.
Ciò alimenta la speranza che possa essere posto un argine alla deriva folle di questa guerra per procura, deriva espressa esplicitamente, ad esempio, dal senatore neocon Lindsey Graham: “Mi piace la strada che abbiamo intrapreso, con armi e soldi Usa, l’Ucraina combatterà la Russia fino all’ultimo ucraino“.
Per ora nessuna via di uscita
Ad oggi non si intravedono vie di uscita, come denota anche la visita del ministro degli Esteri cinese a Mosca, che non ha prodotto esiti in tal senso. Anzi la Russia, per bocca della portavoce del Cremlino Maria Zakharova, ha spiegato che nell’incontro tra Wang Yi e il suo omologo russo Sergej Lavrov non si è parlato di “nessun piano di pace”, come invece riportato da diversi organi occidentali.
Era ovvio che fosse così, com’è altrettanto ovvio che di Ucraina si sia parlato, eccome, tanto che la Zakharova ha aggiunto che il diplomatico cinese ha esposto al suo interlocutore le sue idee su come approcciare il conflitto per cercare una “soluzione politica”.
Il punto è che la Cina non può fare la pace. Gli Stati Uniti non accetterebbero mai una simile vittoria diplomatica di Pechino, che ai suoi occhi sarebbe più devastante di una vittoria militare russa. Probabile, così, che Wang Yi abbia riferito l’esito dei suoi numerosi incontri nel recente summit di Monaco, e molto altro, in vista di una soluzione che dovrà necessariamente trovare dei padrini-garanti graditi a Washington.
Ma non sarà per l’immediato, né a breve. Nella nota di ieri accennavamo a come una finestra di opportunità potrebbe aprirsi dopo l’intensificarsi delle ostilità previsto per la primavera e che ciò potrebbe essere favorito dal fatto che la scarsità di munizioni negli arsenali Nato potrebbe risultare un handicap di difficile gestione.
Così Sky news oggi sintetizza un intervento del Segretario generale della Nato: “La fornitura occidentale di munizioni ‘non è sostenibile’ al livello attuale perché ‘il loro consumo [al fronte ndr] è molto più elevato’, afferma il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il quale ha aggiunto che il conflitto sta diventando una ‘battaglia logistica’”.
Così due giorni fa Alon Pinkas su Haaretz, in un articolo in cui pure si esaltava la vittoria della Nato sulla Russia: “La guerra non è affatto finita e chiederà altro sangue e devastazione. È chiaro che l’Ucraina non può realisticamente fare affidamento sul sostegno dell’opinione pubblica occidentale o sulla coesione della NATO per continuare a tempo indeterminato. È anche ovvio che dopo le attese offensive primaverili, qualunque forma possano assumere e comunque si svolgano, ci saranno crescenti richieste di trattative diplomatiche e di una formula per porre fine alla guerra”.