Washington Post: Ucraina, la guerra apocalittica
Tempo di lettura: 3 minuti“Mentre la controffensiva di Kiev s’infiamma, Washington trattiene il fiato”. Così il titolo di un articolo del Washington Post che spiega l’importanza accreditata all’operazione militare ucraina.
Infatti, “sia Kiev che i suoi sostenitori sperano nella rapida riconquista di un territorio strategicamente significativo. Un risultato più modesto susciterà negli Stati Uniti e nei suoi alleati domande scomode alle quali non sono ancora pronti a rispondere”.
Ed è infatti vero che un fallimento dovrebbe risuscitare l’ipotesi del negoziato, a oggi seppellita, ma tante sono le variabili di questo scontro che tale conseguenza non è affatto scontata.
Anche perché in ambito occidentale le voci che sostengono la necessità di negoziare sono intimidite e represse, così che non si vede chi, nel caso di un fallimento, possa brandire con forza tale prospettiva.
Riguardo quest’ultima considerazione appare istruttivo un altro passaggio dell’articolo: “Biden, Sunak e i leader degli oltre 50 altri paesi che sostengono l’Ucraina hanno espresso il loro sostegno come parte di una battaglia apocalittica per il futuro della democrazia e dello stato di diritto internazionale contro l’autocrazia e l’aggressione che l’Occidente non può permettersi di perdere”.
I maccartisti in lotta contro l’autoritarismo…
Si può notare l’ironia sottesa all’asserita lotta per la democrazia e contro l’autoritarismo, allorché tale lotta implica una censura senza precedenti delle voci dissenzienti.
Mai l’Occidente aveva conosciuto una simile costrizione, che ha un solo precedente, che però riguardava solo gli Stati Uniti e anche qui con le limitazioni del caso, ed è l’oscura stagione del maccartismo.
D’altronde era ovvio che a furia di esportare la democrazia a suon di bombe, l’idea stessa di democrazia ne risultasse vulnerata anche in patria. E che a furia di legittimare il controllo dei cittadini e delle informazioni – prima col Patriot act poi con la riduzione dei media mainstream a una funzione ancillare e la sorveglianza globale via social – tale controllo prima o poi sarebbe stato usato dai controllori per i loro scopi.
Ed è ovvio che gli ambiti che hanno brandito e imposto tutto questo, avendo incrementato a dismisura il loro potere grazie alle guerre infinite, ora impongano la loro dura legge ai sudditi dell’Impero (colonie comprese).
La guerra esoterica
Ma al di là dell’ironia di cui sopra, val la pena soffermarsi sul cenno del WP che abbiamo evidenziato in neretto. La guerra ucraina, per i più strenui sostenitori di Kiev (e per la stessa Kiev) non è un conflitto in cui si scontrano interessi geopolitici contrastanti, ma è uno scontro apocalittico.
Non sfugge che dare un’accezione metafisica al conflitto lo rende ancora più pericoloso di quanto già sia. Se apocalittico, l’impegno che dovrà essere profuso in esso non può conoscere limiti, né di Forza né di Tempo.
Né, si può aggiungere, esistono limitazioni morali: se il nemico è il Male assoluto, tutto è permesso contro di esso (basti pensare, per usare un esempio cinematografico di immediata comprensione, alla totale libertà d’azione, fino alla perversione, dei protagonisti di “Bastardi senza gloria”).
Così è di questo conflitto esoterico, che inutilmente, almeno finora, le menti e i politici più lucidi d’Occidente stanno cercando di riportare su un altro livello, quello appunto geopolitico e militare.
Tale dialettica interna si interseca in modo inestricabile con il conflitto che si gioca sul campo di battaglia; e l’Endgame, quando arriverà, sortirà da un combinato disposto dei due scontri in atto.
Il freno del Pentagono
Un esempio di tale dialettica è riferito da Branko Marcetic su Responsible Statecraft, in un articolo dal titolo: “L’esercito americano è più intenzionato a porre fine alla guerra ucraina rispetto ai diplomatici statunitensi?”.
Questo l’incipit: “Nel corso della moderna storia americana, i militari più aggressivi sono stati spesso frustrati dalla cautela della leadership civile. I vertici militari avevano poco rispetto per la riluttanza del presidente John F. Kennedy a usare armi nucleari contro l’Unione Sovietica. Il generale William Westmoreland fu irritato non poco dalle restrizioni che il presidente Lyndon Johnson impose alla guerra aerea in Vietnam”.
“Secondo quanto riferito, oggi non è più così. In un recente report sulla crescente disponibilità degli Stati Uniti a oltrepassare le linee rosse russe […] il Washington Post riporta che ‘all’interno dell’amministrazione Biden, il Pentagono è considerato più cauto della Casa Bianca o del Dipartimento di Stato per quanto riguarda l’invio di armi più sofisticate all’Ucraina’”.
La Politica impazzita
Nella nota di RS i vari interventi di alti graduati americani preoccupati per la piega che ha preso il conflitto e che hanno espresso il loro favore per una soluzione negoziata.
“Non è che i funzionari del Pentagono si siano improvvisamente trasformati in colombe”, sottolinea Marcetic, solo che hanno una visione più realista – e soprattutto non esoterica – di quanto si sta consumando in Ucraina e sulle prospettive future.
Questa la conclusione dell’articolo: “A sessant’anni dallo scontro di Kennedy con i vertici militari di allora, sembra che le voci della moderazione non appartengano più ai leader civili, i quali piuttosto hanno bisogno di essere moderati”.
Braccio di ferro diuturno, che si gioca a tutti i livelli. Di questi giorni l’ennesima vittoria dei falchi (almeno a stare alle indiscrezioni): l’America sarebbe pronta a fornire a Kiev proiettili all’uranio impoverito (Wall Street Journal).
Gli apprendisti stregoni di Washington si stanno gingillando con il nucleare, un gioco ad alto rischio di reazione. Ma questa è la dinamica propria, e inevitabile, della guerra apocalittica. Serve un argine.