Quelle corse di Bartali che salvarono centinaia di ebrei dall'Olocausto
Tempo di lettura: 2 minuti«Nelle notti del Giro d’Italia e del Tour de France, Gino Bartali che dalla bicicletta era sceso tanti anni prima, raccontava le incredibili e le credibili vicende della rivalità con Fausto Coppi, il campione che andandosene così presto l’aveva lasciato solo […]. C’era di tutto in quei racconti […] ma erano tutti racconti di corsa, nulla neppure una sillaba che svelasse anche soltanto un minuzzolo di ciò che nella Firenze martoriata dall’occupazione nazista il campione aveva compiuto. Quelle storie tornano a galla oggi, nel giorno in cui Bartali diventa “Giusto tra le Nazioni” anche se lui non parlò mai degli ebrei che aveva salvato dalla deportazione di Auschwitz». Così Gino Ranieri sulla Stampa del 24 settembre, nell’articolo intitolato: Bartali, il campione che aiutava gli ebrei. Un titolo onorifico, spiega Ranieri, che la Yad Vashem di Israele ha deciso di conferire al campione scomparso per i circa 700-800 ebrei salvati dall’Olocausto, trasportando in bicicletta, a rischio della propria vita, documenti che avrebbero evitato a quei rifugiati la deportazione e quindi la morte. «Ora – aggiunge il giornalista – quando pensiamo a Gino continuiamo a vederlo con i tubolari a tracolla, nella polvere del Giro, ma lo vediamo anche curvo sul manubrio della bici che fila verso il convento di San Quirico con il suo carico di documenti proibiti ma benedetti dal cielo». Parla anche il figlio del ciclista, Andrea Bartali, il quale ha spiegato che quando suo padre raccontava della sua attività clandestina a favore degli ebrei «aggiungeva di non dire mai niente a nessuno, nemmeno alla mamma: “Il bene si fa ma non si dice, è troppo facile farsi belli con le sventure altrui”». Un motivo in più per ricordare con affetto quel campione la cui vittoria al Tour de France del 1948 contribuì ad allentare in Italia il clima di tensione dopo l’attentato a Palmiro Togliatti.
Bartali era parte di una rete dedita a questa opera di salvataggio degli ebrei, che faceva capo al rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città, il cardinale Angelo della Costa. Difficile immaginare, tra l’altro, che Papa Pio XII non sapesse cosa facesse uno dei suoi porporati…