13 Luglio 2016

Re Federer

di foto Massimo Quattrucci - testo Fabio Pierangeli
Re Federer
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Pur non avendo vinto il recente torneo di WimbledonRoger Federer, l’immortale, ha incantato ancora. Quando nei quarti ha eliminato Marin Cilic, in una partita memorabile, vinta dopo essersi trovato sotto di due set.

La bellissima immagine del re Federer, la persona in cui si realizza il gesto naturale del tennis, compresi i salti proibiti ad ogni altro essere umano, quando la palla è perfettamente all’apice, mi ricordano uno scritto del padre della regia teatrale moderna in cui incrociavo la passione giovanile del tennis, il ricordo dei lunghi e a volte tediosi allenamenti e la gioia quando un colpo riusciva, quasi miracolosamente alla perfezione.

Ne avverto ancora l’odore forte. La terra rossa appena bagnata, i contorni  geometrici, l’esattezza delle linee, suggestioni di movimenti individuali dentro uno stretto perimetro, le casacche bianche.

Entrando le prime volte nel rettangolo rosso di quello sport che sarebbe diventato l’enigma e il centro dell’immaginario dell’adolescenza, tanto da commuovermi ancora alla vista di un bel campo ben curato, vuoto e silenzioso, diventato invalicabile, strepitavo per confrontarmi immediatamente con l’avversario.

Il maestro, Stefano Da Basso, altissimo, un vero gigante per un bambino di dieci anni, ordinava di disporci in fila orizzontale dietro la linea di fondo campo, a provare i movimenti senza neanche la racchetta, poi solo con la pallina per lanciarla a tempo con i gesti mimati dell’agonismo. La preparazione del servizio era particolarmente curata, nei minimi dettagli, essendo il movimento più articolato e difficile.

L’esercizio costante, pur in un territorio dominato dall’imprevedibile, se non dal miracoloso, della genialità (a volte, è ovvio) resta terreno fertile per la crescita, per la maturazione nel campo sportivo, letterario e artistico in genere. Vista la difficoltà di tradurre in una teoria ineccepibile i dati di una sperimentazione laboratoriale, il padre della regia moderna, Stanislavskij, comunicava ai suoi attori l’immagine memorabile di una esperienza.

La riporto nell’affascinante racconto di Edo Bellingeri (Edo Bellingeri, Stanislavskij prova Otello, Roma, Artemide, 2007), nel quale sostiene la necessità di “costruire” e di “scolpire” prima ogni scena, nella fase della preparazione dello spettacolo, per evitare di fare leva esclusivamente sul potere dell’intuizione e del sentimento.

È chiaro che Roger Federer per il tennis è l’aereo che si alza in volo, senza alcuno sforzo! È la festa pura!!

«Ricordatevi come decolla un aeroplano: rolla a terra, accumulando inerzia. Si crea un movimento d’aria che lo spinge da sotto le ali e solleva in aria la macchina. Anche l’attore si mette in moto e, come dire, prende la rincorsa lungo le azioni fisiche e accumula inerzia. In questo modo, con l’aiuto delle circostanze date e dei magici ‘se’ l’attore dispiega le ali magiche della fede che lo innalzano nel regno dell’immaginazione, in cui crede sinceramente».

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