Da pacem Domine
Ore buie per il mondo. Buie e brutte. Resta nel povero cuore un canto, una breve antifona della tradizione della chiesa romana:
Da pacem, Domine, in diebus nostris,
quia non est alius qui pugnet pro nobis nisi tu, Deus noster.
Aver conosciuto questa breve melodia è tra le molte ragioni di personale riconoscenza a don Giacomo Tantardini. A Messa voleva farla ascoltare, imparare, cantare… tanto che è divenuto così semplice accorgersi che essa serve anzitutto per pregare.
Sì, perché di una preghiera si tratta, di una preghiera così mendicante, così da nulla che – forse per questo – porta con sé maggiore speranza di essere accolta, di essere esaudita da Gesù.
In diebus nostris, la Chiesa domanda al Signore la pace qui in questi nostri giorni. Il discepolo prediletto di Gesù ha registrato che la pace di Gesù è “non come la dà il mondo” (Gv 14, 27), non ubi desertum faciunt, pacem appellant (fanno il deserto, lo chiamano pace). Non così al Signore la sua piccola Chiesa chiede pace.
La pace di Gesù è quando lui custodisce i suoi nella sua amicizia, che significa essere in grazia di Dio. Non altrimenti la liturgia della Chiesa di Roma ha reiterato la domanda di pace quando a Messa si sta per ricevere la Santa Comunione: “Concedi la pace ai nostri giorni… e donale unità e pace, secondo la tua volontà… la pace del Signore sia con voi… Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace”. E questa pace ha un riflesso pure nel guardare con cuore diverso le cose di questo mondo: così si chiede da pacem, Domine per questo mondo in ore buie e brutte.
Proprio nel momento in cui si scatenano dinamiche tragiche del potere di questo mondo, anche allora è sufficiente la preghiera di un solo battezzato a commuovere Gesù (ma già in Paradiso sono in parecchi a intercedere); perché non sia tolta la speranza di essere guardati da Gesù: nisi tu, se non tu, o mio Gesù. Nessun altro combatte per noi se non tu, nostro Dio.
Così gli si domanda, perché ha combattuto e ha vinto in sedi ancor più decisive: “Mors et vita duello conflixere mirando; dux vitae, mortuus, regnat vivus” (morte e vita si sono affrontate in un duello mirabile; il re della vita, morto, regna vivo). E, siccome è vivo, gli si può domandare. A Gesù risorto si domanda, a Gesù victor rex si domanda; per i nostri amici si domanda, per chi ha in sorte il potere di questo mondo si domanda. Perché si resti in grazia di Dio si domanda.
È una grazia lo stesso poter restare qua a domandarGli, anche quando l’”impero delle tenebre” (Lc 22,53) pretende di non essere stato relegato alla notte del Giovedì Santo, all’orto degli Ulivi, a quando Gesù veniva processato, suppliziato e avanti così. Subendo menzogne su menzogne.
Già, menzogne. Ma chiedendo a Gesù i miracoli, proprio in questo tempo delle infelici menzogne, la preghiera attende che già ora Gesù mostri la Sua vittoria su colui che è omicida fin dal principio e padre della menzogna (Gv 8,44). Che già in diebus nostris Gesù mostri la sua potenza, come papa Benedetto XVI chiese a Gesù nel Natale del 2010 (“Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza”).
È una fortuna poter chiedere di restare in grazia di Dio. E quando si è in grazia di Dio si guardano meglio sia gli avvenimenti di questo mondo sia quanti curano il potere di questo mondo, a partire da quelli che Dio ha eletto, sebbene essi non lo sappiano.
A nessuno in queste ore è tolto di dire, umili, il da pacem, Domine oppure un’Ave Maria per questo nostro mondo. Con il cuore di santa Bernardetta nel 1870: “Io non ho paura dei protestanti, io ho paura dei cattivi cattolici”. Con l’umorismo realista e cristiano di Pio XI nel 1939, il quale, vicino alla morte ma conscio dei venti di una guerra mondiale all’orizzonte, non lamentava tanto la sua morte imminente, quanto: “…vorrei vedere come farà questa volta il Signore a salvare la sua Chiesa”. Lieti del suggerimento di santa Teresina: “Agitarsi non serve a nulla: occorre solo sperare e pregare”.