Notes, 21 novembre 2013
Tempo di lettura: 2 minutiAnno della Fede. Il 24 novembre si chiude l’Anno della Fede. Con un gesto bellissimo, papa Francesco ha voluto esporre alla venerazione dei fedeli le ossa di Pietro. A indicare che quei miseri resti sono un tesoro antico quanto nuovo per tutta la cristianità. Fatto da altri, avrebbe potuto forse essere equivocato, magari sembrare un gesto di orgoglio ad ostentare il primato di Pietro. Fatto da Francesco, che sta tentando vie nuove quanto antiche nel riannodare i fili che legano la Chiesa cattolica alle altre famiglie cristiane, suona in maniera univoca. Un modo di partecipare al popolo di Dio che quelle povere ossa appartengono anche a loro, alla loro devozione; che il papato in sé è davvero povera cosa, quattro ossa nient’altro, che sopravvive nei secoli solo per sovrannaturale grazia di Dio. Che la Chiesa, questa povera Chiesa che vive tra le tempeste del mondo e le consolazioni di Dio, ha il proprio fondamento in quegli uomini di duemila anni fa che Gesù chiamò a sé, invitandoli a seguirlo. In Pietro che tra i dodici, mistero dell’elezione divina, era stato scelto dal Padre a governare la Chiesa. Un pover’uomo come tanti altri, ma testimone oculare delle meraviglie che operava il Signore lungo le vie della Palestina, testimone soprattutto di quell’impossibile resurrezione senza la quale vana è la nostra fede.
Povere ossa, invero, che appartennero a un uomo che Gesù chiamò anche Satana perché voleva seguire le sue vie e non Altre; che lo aveva tradito, come tutti noi tradiamo, anche nel momento supremo, per essere riabbracciato in maniera tanto inattesa e stupenda: «Pietro, Mi ami tu?». Ed in fondo la fede di Pietro sta tutta in quella domanda posta dal Signore, e in quell’umile e commossa risposta. Lui che doveva attendere tutto dal Signore, anche quell’umile professione d’amore a Lui, taciuta in tre anni di vita comune.