Notes, 4 luglio 2013
Tempo di lettura: 2 minutiPapa. Segnalando l’omelia del Papa nella messa a Santa Marta del 3 luglio, piace accompagnarla con brevi osservazioni. L’insistenza con la quale Francesco parla di gnosi e pelagianesimo non è, ovviamente, casuale. Non sprecherebbe tempo al riguardo, se non fosse che la ritiene un tratto essenziale del suo Pontificato. Che si riassume tutto nel ritorno all’essenziale, Gesù.
Quando il Papa parla di gnosi e pelagianesimo si rivolge ai fedeli, certo, ma molto più agli uomini di Chiesa: sacerdoti, vescovi, cardinali. Che il fedele possa avere tentazioni gnostiche o pelagiane, in fondo, appartiene alla varie declinazioni del peccato di orgoglio: fare da sé, affidarsi al proprio impegno piuttosto che alla grazia di Dio. Diverso, e ben più tragico, se la Chiesa, nei suoi sacerdoti, nei suoi vescovi, nei suoi cardinali, insegnano una dottrina, magari ortodossa, ma nella quale l’opera santificante della grazia, dello Spirito Santo, non ha posto. Se Francesco insiste sul punto è perché ha presente un pericolo per la Chiesa, in particolare il pericolo di una “Chiesa gnostica”, per dirla con le parole che il Papa ha usato in altra occasione. Una Chiesa senza Gesù, molto più pericolosa, per i semplici fedeli, di una Chiesa carrierista e scandalosamente peccaminosa (mi ripeto, lo era anche ai tempi dei Borgia).
Così la riforma della Chiesa, iniziata sotto questo Pontificato, va di pari passo ad un altro tipo di cambiamento che si sta producendo, almeno si spera, all’interno del corpo ecclesiale, e molto più importante della prima: il ritorno all’essenziale, alla testimonianza “di Gesù”, perché non siamo noi a offrirla al mondo, ma è Lui che per Sua grazia sceglie chi vuole per far risplendere il suo Volto nel mondo.
Un punto che, nel pontificato di papa Francesco, va di pari passo a quella attenzione per i poveri e gli ultimi sollecitata in vari modi, anzitutto con la sua personale testimonianza (esempio il viaggio a Lampedusa, tra gli ultimi, nella “periferia” dell’Italia). Da questo punto di vista anche la sollecitudine per i poveri, insegna il Papa, ma prima di tutto il santo Vangelo, è possibile solo per grazia del Signore, ché senza di lui non possiamo far nulla. Anche una Chiesa gnostica e pelagiana potrebbe fare opere di bene, forse anche più grandi di quante può farne una Chiesa povera per i poveri, ma non opere belle. Opere cioè, secondo il cuore di Gesù.
Così il ritorno all’essenziale, alla dottrina cattolica che insegna che senza la grazia l’uomo non può far nulla, resta il punto decisivo sul quale si gioca il futuro della Chiesa. Grazie a Dio il Papa non è solo in questo: ha vicino tanti poveri fedeli, religiosi, sacerdoti, vescovi e cardinali, ma anzitutto può contare sull’aiuto del Signore, che ora più che mai sembra voler fare misericordia alla Sua Chiesa.
In questo senso non piace molto la contrapposizione tra Curia e Papa molto in auge tra i media (come se i carrieristi abitassero solo in Vaticano), né certa esaltazione della figura del Pontefice, che vede Francesco sfidare l’intero corpo ecclesiale. La papolatria – dalla quale ha messo più volte in guardia lo stesso Francesco – è esattamente l’opposto di quel che serve alla Chiesa del Signore. Così una povera preghiera per il Papa, perché il Signore gli conservi la sua grazia, lo illumini e lo guidi nel suo agire, vale più di mille incensamenti.