Notes, 8 dicembre 2014
Tempo di lettura: 2 minutiPrecedenza. «Chi prende l’iniziativa? Sempre Dio! […] Lui ci aspetta, Lui ci invita, l’iniziativa è sempre sua». Così il Papa all’Angelus del 6 gennaio. Una constatazione ripetuta più volte in quella breve catechesi. E più volte ribadita dall’inizio del suo Pontificato, tanto che si può dire che la puntualizzazione della precedenza della grazia di Dio sull’agire dell’uomo rappresenta uno dei cardini del magistero del nuovo vescovo di Roma. Ma a differenza di altri punti chiave del magistero di Francesco, ovvero la misericordia infinita di Dio verso i peccatori, l’idea di una Chiesa povera per i poveri e l’apertura al mondo dei non credenti, è poco ripreso.
Certo, in ambito mondano questo aspetto può apparire secondario, meramente teologico, ma non così in ambito cattolico dal momento che su questo punto sta o rovina il cristianesimo: in fondo tutto il cristianesimo sta solo nell’accogliere la grazia del Signore così che si riverberi nel mondo, in quel mysterium lunae (la Chiesa che come la luna non brilla da sé ma di luce riflessa) che è stato uno dei tre punti del discorso che l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio tenne ai cardinali riuniti a Conclave.
Nell’omelia della messa celebrata a Casa Santa Marta il 19 dicembre, papa Francesco ha messo in guardia dai cristiani che credono di potersi salvare da se stessi, dalla superbia dei pelagiani che immaginano una salvezza che prescinde dalla sovrannaturale grazia del Signore. Un’omelia che va letta insieme all’Angelus del 6 gennaio e che, più che puntare il dito contro il singolo fedele che può essere vittima di una tale tentazione (peraltro di tutti), è diretta a quanti in ambito ecclesiale immaginano una Chiesa che viva delle dottrine e delle iniziative umane piuttosto che della precedente grazia del Signore. Una Chiesa dove Gesù risulta termine di un discorso cristiano, il cristianesimo un ideale fondamento di valori universali o di un attivismo umano, i sacramenti un simbolo senza importanza reale. Insomma, una Chiesa dopo Gesù, senza Gesù per parafrasare Charles Péguy.
Resta da capire perché, nonostante l’insistenza di Francesco, tale punto trova così scarsa eco. Forse, una possibile risposta, perché tale tentazione è così diffusa in ambito ecclesiale, sia in ambito tradizionalista che progressista, che si fa fatica anche a capire questo «accento discorde» che «fere l’orecchio». Era l’ottobre del 2012 quando, in un mirabile intervento, il decano dei cardinali, Angelo Sodano, prese la parola in un Sinodo che si svolgeva in Vaticano, nel cuore della Chiesa, per spiegare che il tema dato al dibattito era pelagiano. Non è passato molto tempo da allora. E non molto, sul punto, sembra essere cambiato.