COVID-19: la nuova bufera su AstraZeneca e le terapie
Tempo di lettura: 3 minutiSenza pace la vita del vaccino anglo-italiano prodotto dalla multinazionale AstraZeneca e distribuito a prezzo di costo. Appena 48ore dopo essere stato ri-autorizzato da EMA, dopo oltre 11ml di dosi inoculate nel solo Regno Unito senza evidenze problematiche particolari o differenti dagli altri vaccini (leggi Pfizer/Biontech) il circo mediatico ricomincia a suonare la stessa musica “il vaccino Astra Zeneca è inaffidabile”.
Ad aprire le danze sono stati, come sempre, i giornali USA che schierando le testate più importanti (Washington Post e New York Times) hanno iniziato l’ennesimo attacco contro il vaccino britannico (un copione già visto: i primi guai per AstraZeneca sono arrivati sempre da oltreoceano).
La lunga serie di sventure che si è abbattuto su quello che la scorsa estate sembrava il più promettente candidato a vincere la corsa ai vaccini è inquietante: attacchi informatici, laboratori incendiati (Serum Institute Indiano) e notizie inquietanti, regolarmente smentite, a volte con colpevoli ritardi, dagli organi preposti, ne hanno accompagnato lo sviluppo e, adesso, anche la distribuzione.
I giornali italiani si sono accodati al carrozzone, nulla curandosi di dati autorevoli o di quanto dichiarato solo poche ore prima dall’EMA. Evidentemente l’autorevolezza dell’ente regolatore europeo va sbandierata solo quando fa comodo.
Detto questo, in serata si è registrato un attutimento della bufera: i media, dopo aver lanciato la notizia senza alcuno scrupolo del panico conseguente, hanno deciso di tenerla bassa. Evidentemente è arrivato un contrordine, almeno per ora.
Forse qualcuno, ai piani alti, si è reso conto che è ora di porre un termine alla guerra contro Astrazeneca, dato che si rischia di veder svaporare i piani di ripresa di tutto l’Occidente, che fa affidamento anche su questo vaccino per uscire fuori dal tunnel (la guerra prosegue contro i vaccini cinesi e russi, e in particolare su questi ultimi, dato che la loro efficacia li rende temibili competitor). Questa, almeno, l’impressione, ma si attendono conferme.
Cure domiciliari
Se la campagna vaccinale italiana segna il passo, non vanno meglio le cure contro il COVID-19. In ospedale si continua a morire e troppo poco si è fatto per evitare che la gente finisca in terapia intensiva.
Soprattutto troppo poco è stato fatto a livello di enti preposti (Ministero, AIFA), perché invece, fortunatamente, tanti medici si sono spesi in prima persona affrontando rischi e un vieppiù di fatica. E spesso, collaborando tra loro, sono riusciti a curare, e a salvare, tantissimi pazienti, evitando a molti di finire in ospedale o in terapia intensiva.
Il protocollo che Ministero della Salute e AIFA hanno predisposto per le cure domiciliari data il 9 dicembre 2020, e già questo dato è indicativo di quanta poca cura si sia dato a questo aspetto, visto che la pandemia infuriava già da quasi 9 mesi, e recitava una raccomandazione generale sorprendentemente scarna: vigile attesa, trattamenti sintomatici (es. paracetamolo, cioè la nota tachipirina) escludendo poi espressamente l’utilizzo di alcuni farmaci tra cui la contestata Idrossiclorochina.
Non avendo competenza in materia ci limitiamo a registrare l’agghiacciante impressione che lascia la locuzione “vigile attesa” e che l’esperienza sul campo di tanti medici, che si sono anche organizzati in comitati, contrasta esplicitamente con questo protocollo, tanto che recentemente il TAR del Lazio ha accolto un ricorso sul tema dichiarando sospesa l’inutile direttiva.
La diatriba tra esperti e medici sull’efficacia o meno di cure e medicinali infuria sui media, ma il dato che ci preme sottolineare è che troppo poco è stato ancora fatto a livello di cure (in queste ore è tornata d’attualità la querelle sugli anticorpi monoclonali, che si trascina da mesi), affidando l’esito delle cure ai pazienti COVID-19 ai soli ospedali e ai vaccini, con i risultati tragici che tutti conosciamo.
Si spera che le esperienze sul campo di tanti medici possano trovare presto una giusta considerazione all’interno delle istituzioni, che siano oggetto di valutazioni oggettive e scientifiche e non motivo di contrapposizioni ideologiche, come sembra sia avvenuto finora.