Ankara, Berlino e l'elezione di Trump
Tempo di lettura: 4 minutiIl Terrore globale persegue strategie globali. Così c’è un filo che lega i due attentati di ieri, Ankara e Berlino, al di là della solitudine dei loro autori. Non per nulla avvengono nello stesso giorno.
Ma veniamo ai fatti di ieri. Il primo è che proprio ieri i grandi elettori americani, quelli designati tramite votazione popolare lo scorso 8 novembre, erano chiamati a dare il loro voto per il presidente Usa. Una formalità propria del peculiare sistema elettorale americano.
Una ritualità che di solito si consuma nell’indifferenza generale, dal momento che i grandi elettori, al di là di ininfluenti eccezioni che nel passato hanno confermato la regola, fanno poi esattamente quanto loro richiesto, votando in maniera conforme alla volontà popolare.
E però stavolta tale momento ha conosciuto asperità inusuali. Che si collocano nel solco di un post elezione travagliato, nel quale gli orfani della Clinton hanno tentato in tutti i modi di inceppare l’ingranaggio che consegna la presidenza degli Stati Uniti a Donald Trump.
Tra questi tentativi di boicottaggio anche quello di far pressione sui grandi elettori perché cambiassero casacca, tradendo il mandato popolare.
Non è successo nulla di tutto questo (solo due voltagabbana). Da ieri Trump è ufficialmente il presidente degli Stati Uniti d’America. E da ieri la ripresa di un filo di dialogo con Mosca, promessa dal neopresidente e tanto avversata dai suoi avversari, è prospettiva reale.
Proprio questa prospettiva è stata colpita ieri ad Ankara. Attraverso l’uccisione dell’ambasciatore russo Andrei Karlov, le Agenzie del Terrore hanno recapitato il loro messaggio di morte: Mosca non deve attendersi un alleggerimento della sua attuale condizione, anzi, sarà attaccata in ogni modo.
Significativo che la vittima sia un ambasciatore, figure in genere garantite da immunità diplomatica: la agenzie del Terrore indicano in tal modo che non riconoscono immunità di sorta. Tutti sono possibili target.
Non solo, il combinato disposto Berlino-Ankara oscura sotto un’ondata di paura la notizia del giorno, ovvero l’ufficialità dell’investitura di Trump, che rappresenta una sconfitta del Terrore globale (vedi anche: Il silenzio elettorale dell’Isis).
L’assassinio di Ankara ha anche altre motivazioni subordinate: esso serve a colpire il nuovo rapporto tra Erdogan e Putin, che rappresenta un mutamento epocale degli equilibri del mondo. Simbolico in tal senso che l’ambasciatore sia stato colpito durante una visita a una mostra turca dedicata alla Russia.
L’omicidio non è riuscito a incrinare l’asse Mosca-Ankara, ché ieri i due presidenti si sono parlati e hanno deciso per un’inchiesta unificata sull’accaduto, iniziativa di valenza storica.
E però il messaggio è arrivato alto e forte: il governo di Erdogan potrebbe andare incontro a tempi burrascosi, caratterizzati da attentati e torbidi interni (nei giorni scorsi in Turchia si sono svolte manifestazioni anti-russe).
Da considerare in questa ottica che l’assassino di Karlov ha agito indisturbato: ha affiancato l’ambasciatore durante una conferenza, come fosse un body guard, gli ha sparato e poi ha inscenato una lunga intemerata su Aleppo, la cui caduta avrebbe inteso vendicare col suo gesto.
Tutto senza che nessuno, stranamente, sia intervenuto. Segno di falle o connivenze negli apparati di sicurezza. Particolare che impensierirà non poco Erdogan.
La rivendicazione aleppina dell’attentatore, inoltre, serve a indicare un focus: la vittoria di Assad e dei suoi alleati russi nella guerra siriana non sarà accettata. Né ora né mai.
Simbolico in tal senso che l’omicidio sia avvenuto mentre il ministro degli Esteri turco si trovava a Mosca per un summit trilaterale sul destino della Siria, presente anche il suo omologo iraniano.
Così veniamo al secondo attentato di ieri, a Berlino, in un mercatino di Natale situato in uno dei quartieri più poveri della capitale tedesca. Tali mercati, a novembre, erano stato indicati come obiettivi dalla rivista Rumiyah (Roma), edita per i tipi dell’Isis, e alcuni giorni fa era stato sventato un attentato a un mercato similare nella città renana di Ludwigshafen.
Si trattava in questo caso di colpire in qualche modo il Natale. Per rilanciare lo scontro di civiltà, quello che vorrebbe il cosiddetto estremismo islamista avere in odio i simboli cristiani. Target peraltro in linea con la cifra satanica della sfida terrorista (se non si capisce il fondamento esoterico delle Agenzie del terrore non si comprende nulla della loro essenza e delle loro dinamiche).
L’attentato crea difficoltà alla Cancelliera Angela Merkel, alle prese con una difficile rielezione. Essa è infatti incalzata da forze politiche ostili alla sua politica di apertura ai migranti.
Ma ha contro anche parte dell’establishement che l’ha sostenuta finora, al quale non piace certa sua moderazione e flessibilità, sia nei riguardi degli altri partner europei – ai quali fa sconti non graditi -, sia nei riguardi dei rapporti con Mosca – che la Cancelliera ha comunque conservato nonostante le difficoltà.
Ma non era la Merkel l’obiettivo primario del camion assassino che ieri ha mietuto dodici vite. In realtà si trattava di coprire altro, come scritto in precedenza.
Ma anche di annullare l’empatia verso Mosca provocata dall’attentato di Ankara. Subito dopo quell’omicidio, infatti, il mondo aveva manifestato la sua solidarietà alla Russia, attenuando quella conflittualità che da tempo separa l’Occidente dall’Oriente.
Inoltre il sangue di Ankara aveva palesato al mondo che, in fondo, la battaglia di Aleppo aveva visto contrapposte forze stabilizzatrici (russi e siriani) a banali terroristi. Quel che da tempo sostiene Mosca al contrario della narrativa imperante in Occidente.
Dopo Berlino tale empatia è stata annichilita. Oggi l’Occidente piange i morti del mercatino di Natale. E l’omicidio dell’ambasciatore russo è derubricato ad affare lontano che riguarda un mondo lontano. Con il
quale si può peraltro continuare a mantenere tutte le distanze del caso.
Tale l’operazione delle Agenzie del Terrore, le cui strategie sono articolate e sofisticate, anche se banali nella loro dinamica.
L’unica vera risposta ai morti di Berlino sarebbe la revoca delle sanzioni alla Russia. E l’inizio di una collaborazione con la stessa in chiave anti-terrorista. Il terrore globale abbisogna di una risposta globale. L’unica possibilità per venirne a capo.
Inutile sperare in una simile, ragionevole, svolta nell’immediato. Ma con Trump forse potrebbe avvenire. Lo sanno bene anche gli strateghi del Terrore. Che per questo stanno dando fondo al loro ferale attivismo.