Corea del Nord: Pompeo difende Trump
Tempo di lettura: 2 minutiDopo che l’incontro trionfale tra Trump e Kim Jong-un ha scritto la storia, quella locale, relativa alla pace inter-coreana, e quella mondiale, relativa alla distensione globale, la vicenda del nucleare coreano torna alla cronaca.
Ieri il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dovuto difendere il presidente dalle critiche che stanno montando in patria. E lo ha fatto in una conferenza stampa.
Molti rilievi si appuntano sul fatto che il documento firmato a Singapore non contiene la formula magica chiesta dai falchi, ovvero che la denuclearizzazione della Corea del Nord deve essere “completa, verificabile e irreversibile“.
Pompeo ha affermato che tale condizione era implicita nel testo. E ha invitato i critici a non giocare con la “semantica”.
In particolare, a un giornalista che insisteva su tale assenza, ha risposto: “Trovo questa domanda offensiva, bizzarra e francamente ridicola”: è “un gioco” e non si “dovrebbe giocare con questioni serie come questa”.
Il Segretario di Stato ha dovuto far fronte anche a un altro fronte di accuse, quello riguardante la promessa di Trump di fermare le esercitazioni militari che da anni l’esercito americano, della Corea del Sud e del Giappone svolgono a ridosso dei confini coreani.
Una promessa che il Presidente degli Stati Uniti ha fatto a margine e al di là dell’accordo sottoscritto, aggiungendo che comprendeva come Pyongyang considerasse tali iniziative un atto “provocatorio”.
Pompeo ha ribadito l’affermazione del presidente, aggiungendo che la cessazione dei “giochi di guerra” era legata alla constatazione della effettiva “buona fede” dell’interlocutore e ai passi reali che Pyongyang farà verso l’obiettivo della denuclearizzazione.
La conferenza stampa è stata riportata, anche dai media italiani, come se l’amministrazione americana avesse fatto un passo indietro, irrigidendo le sue posizioni.
Non è così: Pompeo ha difeso a spada tratta l’operato del presidente, facendo fronte al vento di contrasto che rischia di mandare all’aria la storica rappacificazione.
Il malumore suscitato dall’iniziativa di Trump è stato registrato anche dallo Stato di Israele: il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha inviato un memorandum classificato a tutte le ambasciate che spiega come importanti ambiti americani non sono affatto convinti della strada intrapresa.
A rivelare l’iniziativa israeliana è stato il sito americano Axios. Interessante, nella nota di Axios, il rimando a un intervento di Ian Bremmer, presidente dell’Eurasia Group, che ha espresso la sua “autorevole” disapprovazione al congelamento delle esercitazioni militari.
A tal proposito ha ricordato che era stata la Cina a chiederlo in cambio del congelamento della corsa al nucleare di Pyongyang. Una richiesta, ha rammentato ancora Bremmer, alla quale gli Stati Uniti si erano sempre opposti.
Insomma, anche per la pax coreana si ripete quanto avvenuto, avviene, riguardo la Russia: Trump tenta di aprire porte che altri vogliono restino chiuse. Insomma, inutile cullarsi nelle illusioni. La guerra coreana non è ancora finita.