Dacca: il Terrore e l'Asia
Tempo di lettura: 3 minutiL’Italia piange i suoi morti a Dacca, dove la Bestia ha colpito ancora. Stavolta è toccato a noi più che ad altri. D’altronde la sfida che il Terrore ha lanciato al mondo non fa eccezioni alla sua nefanda Regola. E Roma resta obiettivo dichiarato in tante rivendicazioni made in Isis.
Stavolta a uccidere non sono stati i soliti sbandati del sottoproletariato emarginato, quelli per intenderci che sotto gli occhi compiaciuti di media e intelligence occidentali andavano a combattere in Siria per poi tornare a far strage nei Paesi d’Occidente.
I carnefici stavolta sono pargoli di «famiglie bene», molti dei quali, come accennano i media, hanno frequentato il più prestigioso istituto della capitale, lo Scholatisca. Fenomeno eversivo dunque nato all’interno della ricca borghesia, esito infelice «di un progetto culturale» volto alla formazione delle nuove élite locali, come da didascalia del Corriere della Sera del 4 luglio.
La fascinazione del terrorismo ha agito, in questo caso, in modo analogo a quanto avveniva da noi negli anni ’70: allora i figli della borghesia nostrana si arruolavano nelle Brigate rosse e altre bande armate, questi nell’Isis.
Ne scrive anche Renzo Guolo sulla Repubblica del 4 luglio, «l’adesione a un’ideologia totalizzante come quella islamista radicale […] appare a molti scontenti della globalizzazione, a quanti sono alla ricerca di una identità, ai critici dei sistemi politici esistenti, l’ultima grande narrazione antagonista
».
D’altronde il terrorismo degli anni ’70, nato come perversione della religione comunista, ha molti tratti in comune da quello odierno, nato dalla perversione della religione islamica, non solo nelle dinamiche, ma anche nelle Tecniche.
E, come l’altro, getta una luce oscura sulla religione della quale rappresenta una perversione, cosa tra l’altro funzionale al progetto antagonista che ha come bersaglio primario la (concorrente) religione tradizionale alla quale contende la leadership sulle masse che vi afferiscono.
Anche il Bangladesh ha visto tale concorrenza, come spiega Kushi Kabir, attivista per i diritti umani nel Paese e candidata al Nobel per la pace, in un’intervista al Corriere della Sera del 4 luglio.
Il vecchio islam, il sufismo, era spirituale e tollerante, spiega infatti Kabir, ma da alcuni anni anche il suo Paese ha visto diffondersi il wahabismo, «una forma intollerante dell’islam che viene dall’Arabia Saudita. Tanti soldi sauditi finiscono a organizzazioni e fondazioni […] c’è un revival religioso che si vede nelle scuole, nella costruzioni di enormi moschee con fondi provenienti dall’estero, nell’aumento del numero di madrasse [scuole coraniche ndr.] non consentite, registrate o controllate ma assai ben finanziate
».
Bizzarro che chi inneggia allo scontro frontale contro l’islam non chieda conto all’Occidente dei suoi rapporti con i sauditi, considerati alleati imprescindibili nonostante il loro sostegno allo jihadismo internazionale sia un segreto di pulcinella.
Val la pena infine sottolineare che anche questo attentato, compiuto da un gruppo locale guidato da uno stranissimo canadese, è stato prontamente rivendicato da Amaq, l’Agenzia stampa dall’Isis, che si trova tranquillamente online come abbiamo verificato (buffo vero?). Cosa che rende ancora più anomala la mancata rivendicazione del recente attentato a Istanbul (sul punto vedi nota precedente).
Ovviamente, come si evince dalla foto che pubblichiamo, a rilevare la rivendicazione non è stata la Cia, né l’Fbi né altra Agenzia di intelligence, ma sempre il solito Site (vedi nota).
Ma al di là dei misteri dolorosi del Terrore, l’attentato ha inaugurato una nuova narrazione sull’Isis a opera degli analisti: fallito il progetto della costituzione di un vero e proprio Stato islamico, a motivo dei rovesci sul piano militare in Iraq e Siria, l’Isis si starebbe «qaedizzando», ovvero starebbe tornando a quella forma fluida di terrorismo globale che prescinde da un obiettivo territoriale. Narrazione che ha il suo interesse nella stesura di lunghi e meditati articoli di relativa importanza.
Altra narrazione vede con questo attentato l’apertura di un nuovo fronte del Terrore, quello asiatico. In realtà da tempo sulle nostre pagine abbiamo indicato nell’Asia uno dei target primari del terrorismo, rimandato in un secondo momento solo per contingenze. Tanto è vero che l’intervento militare russo in Siria aveva come obiettivo anche quello di scongiurare tale eventualità.
Non potendo al momento colpire in Paesi asiatici con apparati di sicurezza più attrezzati, l’Isis ha virato verso il Bangladesh, che tra l’altro sotto questo profilo si considerava relativamente tranquillo (anche se il terrore jihadista ha allungato da tempo i tentacoli nel Paese).
Non solo, la vicinanza del presidente Abdul Hamid alla Cina, partner imprescindibile della Russia e associato a questa nell’esecrazione pubblica dalle Agenzie del terrore, ne faceva un target non solo facile, ma anche strategico. L’anello debole di una catena da spezzare.
La mattanza di turisti ha infine dato alla strage quella copertura mediatica internazionale senza la quale l’Isis semplicemente non esisterebbe. Oggi che i sacrifici umani, ché tale è il significato dello sgozzamento rituale subito dalle povere vittime, vivono di media.