Di unioni civili e di Altro
Tempo di lettura: 4 minutiSi è svolta, infine, la votazione riguardante la legge sulle unioni civili. Una vicenda della quale non abbiamo mai scritto sul nostro sito, tranne che per un breve cenno, perché se ne parlava già tanto, e a nostro giudizio troppo, altrove. Così abbiamo scelto di scriverne semplicemente non scrivendone (così rispondiamo alle domande di alcuni lettori che richiedevano la nostra opinione in proposito).
Il mondo è al collasso: la crisi finanziaria mondiale frantuma vite e destini; i venti della destabilizzazione e del terrorismo globale stritolano intere popolazioni, con il tragico corollario dell’esodo più o meno forzato di centinaia di migliaia di disperati; il pianeta è attraversato dai fremiti minacciosi di un nuovo confronto planetario tra Est e Ovest che rischia di sprofondare il mondo in una nuova guerra mondiale…
In mezzo a questa tempesta in Italia, per mesi e mesi, il tema del dibattito mediatico e sociale, dominante e fagocitante, è stato tutt’altro: il destino delle unioni civili, appunto.
Non che tale tema non abbia la sua importanza, ovvio, né si vuole esprimere un giudizio sui tanti che, da una parte o dall’altra, hanno dibattuto sull’argomento come cosa che tocca corde e sensibilità più profonde. Semplicemente l’ossessività con la quale il tema si è imposto, o è stato imposto, ci è sembrata semplicemente inquietante.
Così salutiamo con un sospiro di sollievo il voto in aula, perché segna il (temporaneo) punto conclusivo della vexata quaestio.
Un finale già scritto, tra l’altro, ché era ovvio fin dall’inizio che la stepchild adoption, com’è stata chiamata in idioma inglese, non avrebbe mai trovato i voti necessari in Parlamento, stante tra l’altro la contrarietà sul punto di parte della popolazione italiana (cattolica e non). Come altrettanto scontato era il fatto che con lo stralcio, parola brutta ma efficace, la legge sarebbe stata approvata.
Uno scontro evitabile, dunque, com’era evidente fin dal principio, al di là delle ragioni e dei torti degli uni e degli altri. Evidenza che non è solo la fotografia di una classe politica (e di una élite culturale) ormai incapace di adire a compromessi (tratto essenziale della cosiddetta seconda Repubblica, che ha sprofondato l’Italia nella tragedia di una, più o meno incruenta, guerra civile permanente), ma segnala anche altro.
La decisione, o costrizione che sia, di percorrere la strada più impervia e pericolosa (oltre che vana), nella quale il rischio di blocco e di ingerenze indebite era palese, indica che proprio quelle ingerenze indebite erano in fondo, e al di là delle intenzioni di tanti sostenitori e avversari della legge, il nodo della questione. E questo era l’autentico scontro che si consumava dietro l’apparenza di un confronto su un tema che in fondo non importava affatto ai veri protagonisti di tale battaglia.
Una reiterazione di uno schema consumatosi, con altre dinamiche e finalità, in altre battaglie similari del passato. Come avvenne ad esempio in occasione del referendum sul divorzio, secondo anche quanto ipotizza, nella sua prosa prudente, Aldo Moro nel suo memoriale (riportiamo in calce alla Postilla un brano in proposito).
Così, a vicenda temporaneamente chiusa, sui media si fa un primo consuntivo di vincitori e di vinti, in Parlamento e altrove. Altro piccolo segno (ce ne sono di più alti) di come la questione sia stata un terreno cruciale, tra tanti possibili, sul quale si è consumato uno scontro politico, ed extra-politico, a vari livelli.
In conclusione di tali considerazioni vale forse la pena soffermarsi su un tratto di confusione che ha animato parte dell’ambito cattolico.
Tra le tante voci provenienti da tale ambito, infatti, vi è stato chi ha palesato il timore che con questa legge lo Stato potesse procedere a una equiparazione, a tutti i livelli, delle unioni civili al matrimonio cattolico.
Paura infondata, che palesa qualche incertezza riguardo il catechismo, se non sull’essenza del cristianesimo. Il matrimonio cattolico è un sacramento del Signore, che una legge di uno Stato semplicemente non può realizzare. Al di là dei nomi, nella sostanza si tratta di cose di diversa natura e ordine, come recita anche la Costituzione.
Appendice (dal Memoriale Moro).
In realtà il problema del referendum sul divorzio che l’On. Fanfani non aveva propriamente voluto, ma accettato come una buona occasione politica, era diventato per il Segretario del Partito assillante sia sul terreno politico sia su quello finanziario.
Una volta impegnatovi in pieno il Partito contro il mio parere che era di limitarsi a ricordare ai militanti le ragioni per le quali la D.C. aveva scelto quella strada, il fatto era diventato 1) obiettivamente politico; 2) e tale che metteva in gioco il prestigio del Partito che si era ridotto a farsene propugnatore.
[…] E’ controverso che cosa propriamente si proponesse l’On. Fanfani che fece di quello il momento culminante della sua contrastata segreteria. Prova di forza del mondo cattolico, della sua presenza nel paese? L’occasione sarebbe stata scelta male, perché la ragione positiva era minima ed i risultati furono altamente deludenti.
Allora è da pensare piuttosto ad una prova di forza politica, un’occasione per assommare voti di varia natura, ma qualificati e quindi sommabili tra di loro con l’auspicata aggiunta di voti di donne comuniste, legate alla tradizione e ad alcuni interessi e che i comunisti stessi mostravano assai di temere? Il significato politico dell’operazione, una maggioranza cioè di varia estrazione, ma che si palesasse dominante sul paese, e per di più con una forma di votazione diretta e in certo senso apolitica, era dunque chiaro.
Esso rispondeva all’intuizione dell’uomo, a un certo antico gusto per il grande sfondamento, ad una visione, per così dire, superpartitica della vita politica. Una specie di ritorno a De Gaulle che prelevava voti da tutte le direzioni in nome di una certa obiettiva grandezza del Paese che era anche la grandezza dell’uomo.
Fanfani aveva certamente grandi ambizioni e consapevolezza delle sue doti. L’atteggiamento suo nel referendum fu ambiguo, ma per il resto prese atto del risultato e vi si adeguò. Così essendo le cose in caso di sconfitta, resterebbe da domandarsi quali esiti la vicenda avrebbe avuto in caso di vittoria. Come essa sarebbe stata sfruttata? È lecito presumere che sia in caso di successo alle elezioni presidenziali, e questo dubbio non gli giovò, sia in caso di una inusitata vittoria al referendum, l’orientamento rigoroso e, come si dice, presidenzialista, al fine di rafforzare e far valere l’autorità dello Stato, avrebbero ricevuto un’accelerazione.