23 Luglio 2018

Gaza: la guerra, per ora, evitata

Gaza: la guerra, per ora, evitata
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La guerra di Gaza doveva iniziare venerdì. Ed è stata evitata per un soffio. “Un’inversione di marcia sull’orlo del precipizio”, è il commento di alcuni “analisti israeliani” riportato da Giordano Stabile sulla Stampa di ieri.

Gaza: l’insperata tregua

L’esercito israeliano era pronto, l’ultimatum dato: nessun aquilone o palloncino incendiario doveva più attraversare il confine israeliano.

Al termine di una trattativa sottotraccia, intrecciata tra il Cairo, Gaza e Tel Aviv, Hamas si era detta disposta a far tornare la calma.

Un accordo del quale si era fatta garante la leadership del movimento palestinese. Tanto che il suo leader politico, Ismail Hanyeh, si era recato al confine a garanzia dell’impegno.

Sembrava che l’accordo fosse cosa fatta quando è accaduto l’imponderabile: un cecchino ha ucciso un soldato israeliano. Cosa che a Tel Aviv non potevano lasciar passare.

Poteva succedere di tutto, dal momento che Hanyeh a quel punto era esposto alla ritorsione.

Che c’è stata, ma altrove. E però, nonostante tutto, nella notte le armi sono tornate a tacere.

Come riferisce Giordano Stabile, anche Israele ha capito che la leadeship di Hamas non c’entrava nulla con la sortita omicida.

“È chiaro”, scrive, “che la leadership politica non aveva nessun interesse a esporre a un rischio così alto il suo maggiore rappresentante […] Per gli analisti israeliani non ci sono dubbi”.

Il problema è che “l’ala militare [di Hamas, soprattutto la Jihad] è disposta a tutto pur di evitare la «riconciliazione» con l’Autorità nazionale palestinese”.

Discorso inverso dall’altra parte del confine: in Israele è la leadership politica a urgere, mentre i militari frenano (vedi Yediot Ahronot o Haaretz).

Detto questo, venerdì, come riporta il sito Debka, anche il governo israeliano ha cercato di evitare il peggio: in fondo, e ci pare osservazione condivisibile, la ritorsione per l’uccisione del soldato israeliano è stata meno devastante del prevedibile.

Purtroppo la questione non si è chiusa. I lanci di palloncini e aquiloni incendiari sono ripresi, con conseguente aumento della tensione: il ministro della Difesa Avigdor Liberman “minaccia la guerra”, scrive oggi Timesofisrael.

L’im-pensabile guerra con l’Iran

Una tensione che si intreccia con quella del fronte Nord, ovvero il confine tra Israele e Siria. Ormai l’esercito siriano è ai confini e la richiesta israeliana di una ritirata delle forze iraniane dal Paese si fa più pressante.

Tanto che oggi una delegazione russa, guidata dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov, è atterrata a Tel Aviv. I negoziati si fanno più serrati. E più nervosi.

Intanto Israele è sconvolto da un avvenimento che non ha precedenti nei decenni passati, come ha detto il rabbino Shamuel Rabinovith: un pezzo del Muro Occidentale (noto come Muro del Pianto), dal peso di cento chili, si è staccato, precipitando a terra.

Per Shamuel Rabinovitch, il rabbino del Muro, si tratta di un segno divino che “solleva dubbi e domande profonde”.

In un Paese in cui la religione ha un peso determinante nella società e nella politica l’accadimento, che per fortuna (o provvidenza) non ha fatto morti, non passerà inosservato.

E appare in qualche modo in linea con la drammaticità che Israele registra nel complesso quadro mediorientale, che si è evoluto in modo affatto opposto a quanto sperato dalla sua leadership. Che ancora non ha una strategia chiara in proposito.

Il mero approccio muscolare comporta rischi più alti del passato. Anche per Israele, come allarmano analisti e funzionari dell’apparato di sicurezza.

Come ha detto uno di loro, l’autorevole Eran Etzion, in un’intervista ad Haaretz: “Se una guerra tra Israele e Hezbollah è qualcosa che non abbiamo ancora sperimentato,  una guerra diretta tra Israele e l’Iran è qualcosa che non voglio nemmeno immaginare”.

Prospettiva che potrebbe aprire la via a trattative. Forse.

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