Ghouta: orrori underground
Tempo di lettura: 3 minutiIl governo siriano, dopo la caduta del quartiere di Ghouta, ha intensificato le campagne militari contro altri bastioni della resistenza, che sembra meno agguerrita di prima.
Dopo Ghouta, i ribelli hanno accusato il colpo, almeno momentaneamente. E ciò perché il quartiere damasceno era la punta di diamante della resistenza, il suo cervello pulsante. Anche per questo è stata così cruenta la battaglia.
Abbiamo usato i termini usuali del mainstream, che identifica le forze che si oppongono a Damasco come “ribelli” e “resistenza”.
Sotto Ghouta
L’abbiamo fatto apposta, per far vedere quanto questa identificazione, parte fondante della narrazione che vede un regime sanguinario alle prese con un’opposizione libertaria, strida con quanto sta emergendo da Ghouta.
Anzitutto gli orrori. Li documenta un filmato siriano, certo di parte, ma che rimanda immagini che non possono esser frutto di manipolazione.
Nel filmato al quale rimandiamo (cliccare qui) si vedono gli orrori di Ghouta. Le immagini inquadrano la “prigione del pentimento”, dove si vedono le celle oscure e le gabbie interrate, esposte all’aperto. O l’attrezzo che mostriamo nella foto in alto, dove i prigionieri erano legati per essere torturati.
Non solo orrori. Un altro video (cliccare qui) mostra i tunnel scavati nel sottosuolo: un labirinto a più livelli a quindici metri di profondità, che si snoda per chilometri e chilometri.
Si può notare dal video come, accanto alle immagini di tunnel scavati nella roccia, si vedono gallerie larghe, ben illuminate. Prodotti di alta ingegneria. Che necessitano di mezzi sofisticati per lo scavo e le rifiniture.
Opere fatte in poco tempo, che non possono essere ascritte ai quattro straccioni armati asserragliati nel quartiere e ai loro schiavi, i poveri civili mandati sottoterra a scavare. No. Ci vuole ben altro. Macchine pesanti, ingegneri altamente qualificati. E tanti, tanti soldi. Milioni di euro. Soldi affluiti dall’estero: dai sauditi e dall’Occidente.
Le foto che invece mettiamo in calce all’articolo le abbiamo prese dal sito Palestinafelix. Anch’esso è decisamente schierato dalla parte del governo. E può essere tacciato di partigianeria. Ma le foto sono inequivocabili. E mostrano i prodotti chimici rinvenuti nei tunnel, provenienti dal mercato occidentale…
Vi risparmiamo le immagini degli arsenali bellici scoperti nel sottosuolo: armi pesanti, bombe, missili e quanto altro, a tonnellate. C’era una emergenza alimentare, dicevano le agenzie umanitarie, chiedendo l’apertura di corridoi per portare provvigioni (peraltro trovate immagazzinate). Allora come facevano ad arrivare tutte queste armi?
Lo scacco della narrazione mainstream
Quanto sta emergendo dice altro da quanto raccontato per anni. Come testimoniano altro i sopravvissuti, che sono tornati a vivere nel Ghouta, sotto il controllo del governo.
Evidentemente non lo giudicano così sanguinario, se hanno preferito restare piuttosto che andar via con i miliziani jihadisti, come potevano.
Civili di Ghouta sui quali ci si stracciava le vesti, perché bersaglio delle bombe di Assad. E dei quali oggi non importa nulla a nessuno. Nessun cronista occidentale che vada a intervistarli.
Concludiamo questo articolo con un sondaggio del Corriere della Sera di ieri.
Solo l’11% ritiene che i raid dell’Occidente in Siria sono stati “giusti”. Solo il 20% ritiene che Assad sia “responsabile delle centinaia di migliaia di morti” (evidentemente l’80% non ci crede, ma sul punto il Corriere tace).
Il 27% degli intervistati ritiene che “non ci siano prove” che l’attacco chimico di Ghouta sia opera di Damasco, mentre ben il 39% ritiene che sia solo “un pretesto per intervenire contro Assad”.
Un sondaggio che indica la débâcle della narrativa corrente. E ciò nonostante sia stata propalata da tutti i media mainstream senza eccezione. E non certo per i troll russi o le Fake news. Semplicemente la gente ha visto troppe guerre giustificate con ogni mezzo in questi anni, dall’Iraq alla Libia a quanto altro.
Ci ha creduto una volta, due magari. Tertium non datur.