Helsinki, Pechino e il compromesso globale
Tempo di lettura: 3 minutiIl vertice di Helsinki tra Putin e Trump è andato bene. E i padroni del mondo e della parola schiumano rabbia, come da dichiarazioni di uno dei loro portavoce (vedi John McCain, cliccare qui).
Helsinki
Tanta rabbia politica e mediatica è inquietante per un summit che si prefiggeva l’obiettivo della distensione internazionale.
Evidentemente la prospettiva di un compromesso globale tra l’Impero d’Oriente e d’Occidente spaventa quanti hanno lucrato sulla conflittualità Est-Ovest.
Date le resistenze, il compromesso non sarà facile, ma la spinta impressa è fortissima.
E se è vero che Trump e Putin non sono andati nel dettaglio delle criticità, lo hanno fatto i due ministri degli Esteri, Segej Lavrov e Mike Pompeo, che si sono incontrati all’ombra dei presidenti.
Pechino
Non solo Helsinki: ieri alcuni leader della Ue si sono incontrati con il premier cinese Li Keqiang, rilanciando la globalizzazione contro il protezionismo Made in Usa.
Per la narrativa ufficiale si è trattato di una contromossa del mondo avverso a Trump.
Non è così: la Cina ha nella Russia un partner strategico molto più importante dell’Europa, che benché più appetibile sotto il profilo economico-finanziario non può difenderla da un’eventuale minaccia militare.
Il problema è che i padroni del mainstream sono talmente in affanno che cercano di vendere un incontro che li mette ulteriormente nell’angolo come un loro successo…
Infatti, gli stessi ambiti che oggi tuonano contro il vertice di Helsinki, da tempo, hanno messo nel mirino anche la Cina. L’opzione di bombardare la Corea del Nord, infatti, aveva come obiettivo Pechino più che Pyongyang, il cui nervosismo nucleare è insignificante per il destino del mondo.
Così, ai loro occhi, lo spettacolo della colonie americane che si mettono sotto l’ombrello protettivo cinese non deve esser stato affatto gradito. Favorisce la Cina, non i loro progetti globali.
L’Europa
Triste destino quello della Ue, che per gli analisti neocon avrebbe dovuto rappresentare il fulcro della resistenza a Trump. Preso atto della distanza, che consegna le colonie al verbo della globalizzazione, Trump le ha abbandonate al loro destino.
E, per sopravvivere, cercano di vendersi al miglior offerente: la Cina, appunto.
Il punto è che non c’è molto spazio per la Ue in un mondo tripolare, quello che si sta disegnando con la pax coreana e la pax russa.
Il Vecchio Continente è meno interessante per il mondo. Un po’ come avvenne alla fine dell’Impero romano, quando il fulcro della civiltà divenne Bisanzio, e l’Europa fu spazio aperto alle scorrerie.
Ma questa è un’altra storia. Una storia, appunto, non la Storia, che ieri si è fatta tra Helsinki e, meno simbolicamente, Pechino.
Il compromesso globale
Certo, la Storia si può fermare: accadde con l’omicidio Moro, che pose fine a una prospettiva di compromesso virtuoso tra Oriente e Occidente; come anche per l’analogo tentativo di Gorbacev.
Vedremo come andrà il tentativo Putin-Trump, che si muove appunto nel solco dei precedenti, anche se in altra prospettiva.
La guerra, oggi come allora, è tra il compromesso Oriente-Occidente e lo scontro frontale Est-Ovest, e tra le ragioni della Politica e quelle degli apparati militari e finanziari.
E però tanti sono i fattori diversi da allora. Allora l’Occidente era prospero e l’Oriente in declino. Oggi è l’inverso.
Non solo: allora l’apparato militar-industriale orientale faceva blocco con l’Occidente, in un’alleanza tacita che gli consegnava un’influenza decisiva sulla Politica.
Oggi l’Impero d’Oriente, con Putin e Xi Jinping, vede il ritorno della Politica al potere. Una Politica che, peraltro, sta investendo nell’apparato militar industriale in maniera massiccia, per adeguarlo alle nuove prospettive globali.
Cosa che crea un nuovo legame tra tale apparato e la Politica, ribaltando i ruoli del passato.
Infine, allora l’Impero d’Occidente non poteva perdere l’Europa. L’America First di Trump può farne relativamente a meno.
Sono solo alcun dei fattori macroscopici che il tempo e la storia hanno mutato da quel tragico ’78. Fattori che rendono il compromesso globale meno impervio del passato.