I curdi e l'isteria di Erdogan
Tempo di lettura: 3 minutiLa battaglia di Aleppo è iniziata. Ed è iniziata con un attore inatteso: i curdi. Milizie curde, infatti, hanno conquistato l’aeroporto di Aleppo, da anni sotto il controllo delle agenzie del terrore. La città è ormai circondata dalle forze siriane che hanno chiuso i jihadisti nei quartieri da loro controllati. La conquista dell’aeroporto consente alle forze di Damasco e dei suoi alleati (curdi, russi, hezbollah e iraniani), di poter usufruire di un notevole supporto logistico, del quale hanno privato gli avversari.
L’attivismo curdo sta facendo infuriare la Turchia, che li annovera tra i suoi più acerrimi nemici, tanto che su di essi riversa le sue attenzioni attraverso raid che fanno strage di civili (l’ultima quella al villaggio di Cizre, sessanta vittime innocenti). Recep Tayyp Erdogan, infatti, rischia di vedere materializzata la sua più grande paura: la nascita di uno Stato curdo ai confini turchi, che potrebbe diventare un faro di attrazione e di mobilitazione per la minoranza curda del suo Paese, oggi considerata una minaccia alla sicurezza nazionale e perciò stretta nella morsa di un pugno di ferro.
Il problema, per Erdogan, è che i curdi si sono rivelati una risorsa preziosa per contrastare l’Isis sia in Iraq che in Siria, tanto che si sono guadagnati un ruolo internazionale prima sconosciuto. E hanno ottenuto l’invito al tavolo negoziale di Ginevra (nato per trovare una soluzione al conflitto siriano), al quale non si sono potuti sedere per l’opposizione di Ankara.
L’attivismo curdo, che le operazioni militari turche non riescono a contenere, ha segnato una svolta proprio in questi giorni: come ha rivelato Alessandra Coppola in un articolo del Corriere della sera del 10 febbraio, il Dipartimento di Stato Usa «ha annunciato di non riconoscere tra le organizzazioni terroristiche il Pyd, partito curdo dell’unione democratica, attivo nella Siria del Nord».
Certo, resta il nodo degli altri partiti curdi, tante sono le anime di questo popolo disperso, primo fra tutti il Pkk, che Erdogan ha messo in cima alla sua black list. Ma l’annuncio del Dipartimento di Stato Usa potrebbe aprire le porte a una sanatoria più larga.
L’endorsement americano verso i curdi si intreccia e rimanda a un’altra novità: l’apertura di una rappresentanza del Kurdistan occidentale a Mosca.
Il nuovo atteggiamento di Washington nei confronti degli odiati nemici ha provocato la durissima reazione di Ankara, che ha convocato l’ambasciatore americano per protestare e chiedere formalmente agli Stati Uniti di scegliere tra loro e i curdi. Iniziativa alla quale è seguita una durissima esternazione di Erdogan nei confronti degli Stati Uniti d’America.
Una reazione che dimostra il delirio di onnipotenza del quale sembra preda il Califfo di Ankara, che con questa mossa unisce la sfida alla Russia a quella contro gli Stati Uniti…
Anche se Erdogan gode dell’appoggio delle petromonarchie del Golfo e soprattutto quello di influenti ambiti internazionali (anzitutto i falchi Usa), tale duplice sfida appare comunque azzardata…
Erdogan aveva puntato tutte le sue fiches sul tavolo siriano: cacciato Assad, avrebbe allungato le mani sulla nuova Siria (per interposte milizie jihadiste).
Una scommessa che rischia di produrre l’esito opposto: la nascita di un’entità statale curda, appunto, prima semplicemente impensabile.
Tale bizzarra eterogenesi dei fini sta producendo, come accennato, una pericolosa isteria dalle parti di Ankara.
Erdogan può ricattare l’Europa, avendo in mano il rubinetto del flusso di migranti, e l’America, grazie al suo (im)prescindibile ruolo in ambito Nato.
E però se il fronte dei “ricattati” resta compatto nel non cedere alle pressioni, a medio termine Erdogan sarà costretto a un compromesso. L’alternativa (significativo in tal senso il cedimento della Merkel al quale abbiamo accennato in una Nota) vuol dire alimentarne l’isteria, che potrebbe tracimare in follia, ovvero l’escalation del conflitto con la Russia (è di questi giorni l’annuncio di prossime esercitazioni militari comuni tra Turchia e Arabia Saudita per far fronte a «minacce comuni»).
Nella foto: miliziane curde in Siria