Il Kurdistan e l'instabilità del Medio Oriente
Tempo di lettura: 3 minuti«Israele sostiene le legittime aspirazioni del popolo curdo alla creazione di un proprio Stato», così Benjamin Netanyahu in una dichiarazione del 13 settembre. È la prima volta che il primo ministro israeliano si pronuncia in modo così esplicito sul tema.
La dichiarazione giunge a ridosso del referendum che dovrebbe decretare la nuova entità statale, che le autorità del Kurdistan iracheno hanno fissato per il 25 settembre.
Il premier israeliano si è premurato di aggiungere che Israele considera il Pkk, il partito comunista curdo, un movimento terrorista, per attutire le reazioni che le sue dichiarazioni potrebbero avere in Turchia, da sempre contraria al progetto.
«Fare un passo verso l’indipendenza del Nord dell’Iraq è un errore e una minaccia per l’integrità territoriale dell’Iraq», ha infatti dichiarato Recep Erdogan all’indomani dell’annuncio del referendum, aggiungendo che la creazione di uno Stato curdo «non è nell’interesse di nessuno».
Il timore del presidente turco, in realtà, è che la creazione di questa entità statale vada a ledere non solo l’integrità territoriale irachena, ma anche quella del suo Paese, dal momento che alimenterebbe le spinte irredentiste della minoranza curda in Turchia.
Timori condivisi anche dall‘Iran, che vede nel progetto una minaccia ai suoi confini: Teheran, infatti, reputa, forse non a torto, che il nuovo Stato possa essere usato in funzione anti-iraniana dai suoi tanti nemici.
Contrario anche l’Iraq, ovviamente, che si vedrebbe sottratto parte del suo territorio: non solo il Kurdistan, regione che già gode di ampia autonoma, ma anche altre aree irachene conquistate dai peshmerga curdi nel corso della guerra contro l’Isis. Ieri il Parlamento iracheno ha votato sul referendum, negandone la legittimità.
Anche l’amministrazione americana ha difficoltà ad accettare la prospettiva: il niet statunitense è stato consegnato alle autorità curde direttamente dal ministro della Difesa James Mattis a fine agosto, in occasione di una sua visita nel Kurdistan iracheno.
Sulla questione si è pronunciato ieri anche Ahmed Abul-Gheit, il quale ha dichiarato che la Lega araba, della quale è Segretario generale, «ha un sincero interesse affinché i curdi restino a far parte della società araba», auspicando che le divergenze tra il Kurdistan e il governo di Baghdad possano essere appianate attraverso un rinnovato dialogo, finora minato da un deficit di «fiducia» tra le parti.
«Un Iraq unito, federale e multietnico è utile agli interessi degli arabi e dei curdi del paese e a quelli del più ampio mondo arabo», come da sintesi delle sue dichiarazioni riportate dall’Agenzia di stampa turca Anadolu.
Probabile che le tante contrarietà al referendum abbiano convinto il premier israeliano, da tempo favorevole all’indipendenza del Kurdistan, a esplicitare in modo forte e chiaro il suo sostegno, così da dare all’ipotesi una chanche in più per superare le avversità.
Se il premier israeliano vede con favore la prospettiva non è certo solo per ragioni umanitarie, ma anche per calcolo geopolitico. Egli vede nel nuovo Stato curdo una spina conficcata nel fianco dell’Iran: un’ulteriore carta da giocare nel complesso war game (a intensità variabile) che la oppone all’ambito sciita di cui Teheran è faro spirituale e riferimento geopolitico.
Ma Netanyahu non è certo un avventuriero. Fine calcolatore, sa bene che la sua voce non è sola, dal momento che l’indipendentismo curdo ha diversi sostenitori internazionali.
Se, infatti, l’amministrazione Usa non nasconde le sue critiche al referendum, di tutt’altro avviso sono gli ambiti neocon, che pure hanno molta influenza negli Stati Uniti (e nella stessa amministrazione): da tempo essi si adoperano allo scopo di ridisegnare la carta geografica del Medio oriente. L a nascita di un nuovo Stato curdo va nella direzione perseguita.
Non solo i neocon, anche i sauditi, e i loro alleati, condividono l’idea del governo israeliano che uno Stato curdo a ridosso dei confini iraniani possa rivelarsi una preziosa opportunità nell’ambito del confronto a tutto campo con li vede opposti a Teheran.
Probabile che le autorità curde abbiano accelerato i tempi del referendum per evitare che si consolidasse l’asse sciita (Iran, Siria, hezbollah), uscito vincitore dalle guerre in Siria e Iraq contro l’Isis e le altre milizie jihadiste legate a Ryad (e ad altri sostenitori internazionali).
La situazione ancora instabile del Medio oriente favorisce l’attivismo curdo, stante che i Paesi contrari alla nascita del nuovo Stato sono ancora assorbiti dalle ultime code del conflitto.
E però la contrarietà che suscita tale attivismo, fa sì che lo svolgimento del referendum, e l’eventuale nascita di un nuovo Stato, inneschi nuovi e imprevedibili fattori di destabilizzazione nella regione.
Da questo punto di vista appare saggio l’invito a rinviare il referendum rivolto dal Segretario generale della Lega araba alle autorità curde. Darebbe tempo e modo di affrontare la questione curda, che pure esiste, con una serenità oggi assente.
Ad oggi le autorità curde non hanno accolto l’invito, forti anche del consenso internazionale che riscuote il loro progetto indipendentista. Un irrigidimento che non può che suscitare ulteriori criticità.
Nella foto: Ma’sud Barzani, Presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno