L'Isis fa strage in Egitto
Tempo di lettura: 3 minutiHanno assaltato un gruppo di pellegrini. Un’azione vigliacca, al solito, preparata e perseguita come un’azione militare. Il bus, con alcune macchine al seguito, era diretto al monastero di San Samuele il Confessore. E portava un gruppo di gente, tanti i bambini, che andava a pregare. L’Isis ha colpito e ne ha ammazzati 28.
L’assalto è avvenuto nella regione egiziana di Minya: gli assassini, una decina, hanno bloccato la strada con dei Suv, poi hanno iniziato l’assalto, rubando i pochi averi dei pellegrini e intimando loro di convertirsi all’islam, come riferito da padre Antonio Gabriel, parroco di San Mina a Roma. Non hanno abiurato, sono stati uccisi. Martiri, appunto.
Gli assassini hanno pure filmato l’azione, come vuole la società dell’immagine di cui sanno usare, in maniera più che sofisticata, tutti gli strumenti e di cui si servono in maniera altrettanto sofisticata. Altro che islam tradizionale, ci troviamo di fronte a una perversione post-moderna. Ma questa è un’altra storia…
L’attacco vuole minare nel profondo la stabilità dell’Egitto, provando a innescare un conflitto tra islamici e cristiani in un Paese che ospita la comunità cristiana più popolosa del mondo arabo e, insieme, la più grande autorità dell’ambito islamico sunnita, l’imam dell’Università di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, il quale ha condannato l’eccidio senza ma e senza se. È «inaccettabile», ha detto; tale crimine non può che essere condannato da «ogni musulmano e ogni cristiano».
Durissima e addolorata anche la condanna di altre autorità islamiche del Paese, come quella dei cristiani copti e della Chiesa di Roma. Un attentato che segue quelli avvenuti nella domenica delle Palme alle chiese di San Marco e di Tanta, il 9 aprile scorso – 47 i morti allora -, i quali precedettero l’arrivo del Papa nel Paese, in una visita che aveva la finalità di compiere un altro passo sulla via dell’unità tra la Chiesa cattolica e quella Copta e di gettare ponti tra cristiani e islamici (si incontrò con Al Tayyb, allora).
Il governo egiziano esce scosso dall’ennesimo crimine perpetrato dagli Agenti del Male. Indebolito dalla vicenda Regeni, brandita come un maglio contro il Cairo nonostante sia evidente che il governo non aveva alcun interesse a perpetrare quel crimine (anzi), l’ennesima strage ne incrina ancora di più l’immagine.
L’Isis, che già affligge il Paese dal Sinai, vuole dimostrare che il generale Al Sisi non è in grado di controllare il Paese e di garantire protezione ai suoi cittadini. Vuole inoltre innescare odio tra la comunità cristiana e quella islamica: una strategia che l’Isis persegue ad ampio raggio, ma che in Egitto ha tempi e modi più sincopati.
Questo perché l’Isis ha contezza delle difficoltà di Al Sisi, che oltre all’impegno in Sinai, volto a riportare sotto il suo controllo l’area, sta consumando le energie del Paese in Libia, sostenendo il generale Khalifa Haftar. E ciò perché teme che la Libia possa cadere preda di forze ostili all’Egitto, il che porterebbe caos anche alle sue frontiere occidentali.
L’eccidio di cristiani in Egitto è stato perpetrato poco dopo l’incontro tra Donald Trump e papa Francesco. Forse c’è un collegamento, forse no. Di certo quell’incontro ha suscitato preoccupazione e rabbia tra le fila delle Agenzie del terrore.
Trump vuole un attutimento dei rapporti con la Russia in funzione anti-terrorismo. L’unica strategia realistica per contrastare con efficacia il Terrore globale e per avviare quella distensione internazionale che toglierebbe agli agenti del male gli spazi di manovra di cui godono oggi (si veda ad esempio la cellula che ha fatto strage a Manchester, attiva appunto in un’area destabilizzata come la Libia).
Più Trump è isolato, messo in un angolo dai suoi avversari proprio sul russiagate (ovvero sui rapporti, veri o presunti che siano, tra i suoi uomini e Mosca), più il proposito di avvicinare Stati Uniti e Russia diventa aleatorio, come sanno benissimo gli strateghi del Terrore, la cui mente è raffinatissima.
Al di là dei dettagli della visita, da relegare nella casella gossip, l’udienza che Francesco ha dato a Trump rafforza, non ha importanza quanto, l’immagine del presidente Usa, che ne è uscito un po’ meno isolato.
La strage egiziana, quindi, può anche inquadrarsi nell’ottica di una vendetta e di un avvertimento postumo per quanto avvenuto in Vaticano.
Ma al di là delle ipotesi e delle ricostruzioni, restano le povere vittime della follia terrorista. I 28 morti di cui non sappiamo neanche il nome. Tra cui tanti bambini innocenti.
Morti ammazzati che in questo caso, grazie a Dio, nessuno identificherà con qualche immagine simbolica, una griffe più o meno stravagante, come accade per le stragi che il Terrore perpetra in Europa (i morti ammazzati dei Paesi arabi non fanno notizia).
Per loro basterà un semplice, banale, crocifisso. Come quello che riportiamo nella foto. Nessuna “griffe” per loro, nessun Je suis, solo un addolorato, grato, eterno risposo.