In morte del killer di Berlino (2)
Tempo di lettura: 3 minutiDopo Berlino, la scoperta dell’ennesimo documento rinvenuto sul luogo di una strage, che quindi ha indirizzato l’inchiesta in una precisa direzione, deve aver suscitato più di una perplessità.
Tanto che a un giornalista bravo come Guido Olimpio è stato affidato il compito di dare una spiegazione ragionevole a queste stucchevole reiterazione investigativa (così fu per Charlie Hebdo, così per Nizza, così, appunto, a Berlino).
Ne scrive sul Corriere della Sera del 23 dicembre, ipotizzando tre risposte. La prima è che i terroristi vogliano firmare le loro gesta. Da qui la sfida del documento lasciato deliberatamente sul luogo del delitto.
In realtà a Berlino il terrorista (diamo per scontata per ora la versione ufficiale che indica in Anis Amri l’autore della mattanza) si è dato alla fuga. Non aveva nessuna intenzione di farsi prendere. Perché allora lasciarsi dietro un documento che lo rendeva facile preda? Insomma, l’ipotesi di Olimpio appare una boutade.
Né convince la seconda ipotesi, che vede all’opera terroristi sbadati. Si tratta di gente ben addestrata, capace di eludere i controlli capillari degli apparati di sicurezza di mezzo mondo. Davvero difficile immaginarli più svampiti dei ladri di polli, che pure non commettono errori del genere. Né spiega la stucchevole reiterazione della stessa identica dimenticanza nei vari attentati.
La terza ipotesi avanzata da Olimpio ha una sua apparente ragionevolezza: sarebbe un escamotage utilizzato dagli inquirenti per nascondere fonti di informazione altre e diverse.
Ragionevole, sì, ma senza fondamento, ché non si capisce perché gli apparati di sicurezza non potrebbero ricorrere alle formulazioni standard usate in casi analoghi: “in base a evidenze investigative”, “dopo accurate indagini” etc. Per utilizzare, invece, l’escamotage del documento smarrito che, nella sua ripetizione, lascia sempre più basiti.
Così accediamo anche noi al gioco delle ipotesi (lo può fare Olimpio, ci sia concesso anche a noi).
In un nostro articolo precedente avevamo dato una possibile risposta alla stranezza del passaporto: attraverso l’espediente di un capro espiatorio, magari un individuo già ricercato dalla polizia, si chiude un caso che non può esser lasciato aperto pena la diffusione di un’ondata di panico indiscriminato.
Ma l’ipotesi più ragionevole resta altra. Come abbiamo scritto in altro articolo (cliccare qui per leggerlo), l’operazione di Berlino è alquanto sofisticata. Davvero difficile immaginare sia opera di un solo uomo.
Diciamo che se fosse opera di un servizio segreto, e di discreto livello, ci vorrebbero almeno una cinquantina di persone, tra basisti, addetti alla logistica e agenti.
Ma magari davvero si è trattato dell’opera di pochi agenti del Terrore globale, tra quanti hanno sequestrato il camion e quanti aspettavano in macchina l’autore o gli autori della strage per farlo (o farli) esfiltrare.
Pochi ma molto professionali, i quali hanno poi lasciato sul luogo del delitto il documento di un altro agente del Terrore, uno tra i tanti radicalizzati in giro per il mondo, ma di bassa caratura.
Un sacrificabile, appunto, magari anche perché ormai bruciato essendo più che noto ai servizi segreti occidentali. Un Anis Amri qualsiasi, usato anche come protagonista di qualche video di rivendicazione, buono per l’occasione.
Grazie al depistaggio, i veri autori della strage possono scomparire con certa facilità, magari sotto spoglie insospettabili. Mentre gli inquirenti possono chiudere in fretta le indagini, evitando il diffondersi del panico. Cosa che non toglie ovviamente agli stessi la necessità di una stretta sul radicalismo e di adottare ulteriori misure di sicurezza.
Ciò spiega anche la discrasia abissale tra la professionalità con la quale è stata portata a termine l’operazione mercatino di Natale e il modo banale con il quale è stato individuato e ucciso Anis Amri (da vero dilettante).
Resta che inseguendo documenti più o meno farlocchi, più o meno veri, non si incide sulla piaga del terrorismo. Né, d’altro canto, sembra si facciano indagini serie, utili a smantellarne le reti di supporto e di finanziamento di tali agenzie (certe operazioni stragiste costano tanto, davvero tanto).
Forse gli investigatori, sul punto, potrebbero prendere spunto da una delle mail che John Podesta aveva indirizzato alla Clinton, poi rivelata da wikileaks, nella quale il capo dello staff elettorale della candidata democratica spiegava al suo capo: «Abbiamo bisogno di usare la nostra intelligence, le nostre risorse diplomatiche e più tradizionali per esercitare pressioni sui governi di Qatar e Arabia Saudita, che stanno fornendo supporto finanziario e logistico clandestino all’ISIL [leggi Isis ndr.] e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione
».
Alla luce della strage di Berlino questa mail suona alquanto beffarda…