Omero nel Baltico
Tempo di lettura: 3 minutiUn libro che ha suscitato interesse e controversie, “Omero del Baltico. Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade” di Felice Vinci (edizione Palombi, Roma 2008), offre un’interpretazione rivoluzionaria dei poemi omerici, suggestiva e puntellata da puntuali riscontri.
L’idea di fondo di Vinci è che le gesta narrate nei poemi che appartengono al patrimonio originario della civiltà occidentale raccontino fatti avvenuti in altri luoghi e contesti rispetto a quello greco, spostando tutto più a Nord, nel Baltico appunto.
Già gli studiosi dell’antichità avevano notato che la geografia omerica presenta enormi incongruenze rispetto alla realtà del mondo greco-mediterraneo. La chiave per risolvere l’enigma, secondo Vinci, sta in un passo di Plutarco, nel quale l’isola Ogigia viene situata nell’Atlantico del nord.
Così, seguendo le indicazioni dell’Odissea sul viaggio di ritorno di Ulisse, è possibile individuare dapprima la Scheria sulla costa meridionale della Norvegia, in una zona ricchissima di resti dell’età del bronzo (nell’antica lingua nordica skerja significava “scoglio”).
E successivamente una piccola isola danese, chiamata Lyø, che combacia perfettamente con l’Itaca omerica – peraltro descritta in maniera minuziosa – sia per la topografia che per la posizione geografica rispetto alle isole vicine (tra le quali Langeland, l'”isola lunga”, che corrisponde alla misteriosa Dulichio omerica, introvabile nel mondo greco).
Inoltre, in un’area ben delimitata nel sud della Finlandia si ritrovano molti nomi di località che ricordano i nomi degli alleati dei troiani (Askainen, Reso, Karjaa e tanti altri) ed un villaggio, Toija, il cui territorio coincide esattamente con la descrizione omerica di Troia.
Di grande interesse anche la scansione del “Catalogo delle navi” dell’Iliade, che trova una serie di straordinari riscontri lungo le coste del Baltico, a partire dalla Svezia, dove nel II millennio a.C., in un contesto climatico molto più favorevole di quello attuale, fioriva l’età del bronzo. E’ così possibile ricostruire integralmente il mondo descritto da Omero (Tebe, Atene, Micene, Aulide, Lemno, Samotracia, Chio, l’Eubea, Creta, Naxos…) eliminando tutte le incongruenze della tradizionale ambientazione mediterranea, quali il “Peloponneso” pianeggiante (che in realtà sembra corrispondere a Sjaelland, l’isola danese dove si trova Copenaghen); o la prosecuzione notturna della più lunga battaglia dell’Iliade, cosa non possibile a latitudini greche, ma spiegabile con la notte chiara delle alte latitudini attorno al solstizio estivo.
Inoltre, in tale contesto nordico – confermato dalle caratteristiche del clima omerico, nebbioso, freddo e perturbato, con mari perennemente “scuri” e “brumosi” – sono localizzabili anche le avventure di Ulisse: esse trovano puntuali riscontri lungo le coste e le isole del Mar di Norvegia, attraversato da un ramo della Corrente del Golfo, il “fiume Oceano” della mitologia.
Il volume delinea quindi una prospettiva del tutto nuova riguardo sia all’ambientazione degli avvenimenti narrati nei poemi omerici, sia all’origine della stessa civiltà greca: le saghe che hanno dato origine all’Iliade e all’Odissea proverrebbero dal nord dell’Europa; sarebbero state portate a sud dai biondi navigatori achei che, nel XVI secolo a.C., in seguito al tracollo dell'”optimum climatico”, migrarono in Grecia scendendo per i grandi fiumi russi, quali il Dniepr; come avrebbero fatto millenni dopo i Vichinghi, la cui civiltà ha molti punti di contatto con quella descritta da Omero.
Una volta stabiliti nella nuova area, più accogliente e consona alle loro esigenze, vi fondarono la civiltà micenea, la quale in effetti, secondo autorevoli studiosi, presenta notevoli evidenze archeologiche della loro provenienza settentrionale. Essi poi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte le vicende raccontate dalla mitologia greca.
Quest’ultima dunque rappresenta il ricordo, trasmesso dagli aedi alle civiltà successive, delle vicende che a suo tempo si erano svolte nella perduta patria “iperborea” (a cui in effetti i Greci classici continuavano a sentirsi legati, come ci attestano vari autori).
Il testo si avvale della presentazione della professoressa Rosa Calzecchi Onesti, nota studiosa e traduttrice dei poemi omerici, a dimostrazione che la tesi ha suscitato consensi anche in parte dell’accademia, mentre altra parte ostenta verso tale interpretazione algida indifferenza, se non ostilità e contestazione. D’altronde il tema è delicato, stante che, se verificata, la tesi rivoluziona alla radice convinzioni secolari. Non sarà facile trovare un’interlocuzione di livello, ma forse varrebbe la pena tentare.