I talebani e le trattative afghane
Tempo di lettura: 2 minutiIl segretario di Stato Mike Pompeo ha preso una posizione singolare nei confronti del Pakistan.
Intervenendo a gamba tesa, ha affermato che il Fondo monetario internazionale non deve dare seguito alla richiesta del Pakistan di un prestito di 15 miliardi.
Prestito che serve a Islamabad per pagare i debiti contratti con la Cina per spese connesse allo sviluppo della Via della Seta nel Paese. Un intervento anti-cinese, quello di Pompeo, stante che Pechino rischia di non veder saldato il suo debito.
Ma anche contro il Pakistan, preda di una forte crisi economica. Un intervento che suona come un monito al nuovo Primo ministro pakistano, Imran Khan, la cui agenda nazionalista allontana il Paese asiatico da Washington.
Di Khan abbiamo scritto ieri su altra nota, che va integrata. Khan, abbiamo scritto, vuole instaurare un nuovo dialogo con il governo afghano, ribaltando la precedente agenda che vedeva il suo Paese sostenere, tramite intelligence, l’opposizione armata del Paese confinante, ovvero i talebani.
Un sostegno che, secondo alcune accuse, sarebbe esteso anche alla fazione dell’Isis locale (accusa smentita, ovviamente, dalle autorità pakistane), che da quattro anni è in guerra con il governo centrale e con gli stessi talebani, ai quali contende la leadership del Terrore.
In realtà i talebani afghani sono un ambito composito e magmatico. E da anni, con alterne vicissitudini, sono aperti alla possibilità di negoziati con Kabul.
Nel tempo se ne sono susseguiti diversi. Alcuni hanno dato anche la sensazione di poter essere coronati da successo, così da chiudere l’annoso conflitto.
Da qui la sfida dell’Isis, che ha inserito una variabile nuova e irriducibile nella guerra. Di fatto sabotando più volte le vie di dialogo tra Kabul e i talebani, con azioni sanguinarie.
Proprio in questi giorni l’Isis si è reso protagonista di una serie di attentati. È la loro risposta feroce all’apertura di nuove possibilità di pace.
Il 25 luglio, infatti, alti funzionari degli Stati Uniti e una delegazione dei talebani si sono incontrati a Doha, in Qatar, per avviare trattative (Wall Street Journal).
Un’apertura foriera di sviluppi virtuosi. A tale proposito si deve tener presente che anche Cina e Russia, che sostengono il governo di Kabul, hanno taciti rapporti con alcune fazioni dei talebani: sia in funzione difensiva, per contenere la spinta anti-Isis, che propositiva, aprendo cioè vie negoziali tra il governo e i suoi oppositori armati.
Se gli Stati Uniti si uniranno a Cina e Russia in questa via diplomatica, le speranze di una riconciliazione sono destinate a rafforzarsi.
A dare una svolta alla vicenda la decisione di Trump di ritirarsi dall’Afghanistan. Decisione presa anche per ragioni economiche: la presenza americana del Paese sta costando più di quanto sia costato il piano Marshall (The Independent), che nel Dopoguerra permise all’Europa di rialzarsi dalle sue rovine.
Convinto dai generali a restare nel Paese, è evidente che Trump sta mordendo il freno e che ha dato la spinta per trovare una exit strategy. Che l’incontro tra funzionari Usa e delegati talebani a Doha palesa.
La vittoria di Khan, stante la sua disposizione per Kabul, potrebbe favorire ulteriormente tale svolta. Sempre che il suo governo non venga schiacciato dallo scontro sempre più acceso tra Cina e Stati Uniti.
L’iniziativa di Pompeo, sotto questo profilo, non è di buon augurio.