Trump, l'accordo con la Corea del Nord e l'Iran
Tempo di lettura: 3 minutiSi riaccende lo scontro verbale tra Trump e Iran, rinfocolato dalle pressioni Usa per limitare il commercio del petrolio di Teheran.
Le pressioni Usa su Teheran
Pressioni che non si limitano ai Paesi europei che hanno conservato l’accordo sul nucleare iraniano (revocato da Trump), ma anche sull’India, il cliente principale di Teheran.
Il governo indiano non è intenzionato a cedere, confortato in questo dal ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, che ha esortato New Delhi a ignorare le “irritanti” pressioni Usa. Ma la partita è aperta, come evidenzia il calo del commercio sull’asse New Delhi-Teheran (vedi Oilprice).
Tali sforzi, insieme alle sanzioni, puntano a far collassare l’Iran. A creare un malcontento sociale che inneschi una rivoluzione colorata in stile siriano.
A tale politica l’Iran sta rispondendo con veemenza, arrivando a minacciare velatamente la chiusura dello Stretto di Hormuz,dove transita il 30% del petrolio del mondo.
Ma le minacce reciproche, ad oggi, sembrano spuntate. Come osserva il Washington Post, finora Trump ha “evitato mosse militari” che possano far pensare a un intervento.
L’Iran e la Corea del Nord
Interessante sul punto un articolo di Naal Toosi sull’autorevole Politico. Per Toosi quanto sta avvenendo tra Teheran e Washington ricorda da vicino lo scambio di accuse tra Trump e Kim Jong-un che ha preceduto l’accordo con la Corea del Nord.
Certo, tante le differenze: alla Corea Washington imputava solo la “colpa” di sviluppare l’atomica, all’Iran anche una politica mediorientale in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti e dei suoi alleati nella regione.
Inoltre Pyongyang aveva già in mano l’atomica, cosa che gli conferiva una “maggiore leva” rispetto a Teheran. Infine, l’elettorato repubblicano non sembra disposto ad accettare un accordo con l’Iran.
Eppure, nonostante tutto, la possibilità che si ripeta lo scenario nordcoreano inizia a rimbalzare sui media (vedi New York Times).
L’analista del Middle East Institute Vaez Vatanka, interpellata da Toosi, afferma che Trump potrebbe “ottenere un accordo migliore con il regime iraniano”, derubricando a “danno collaterale” l’opposizione a tale sviuppo.
Ma molto più interessante il punto in cui riporta le affermazioni di Mike Pompeo, fautore di una linea più che dura con l’Iran.
Domenica scorsa, quando gli è stato chiesto se “Trump potesse mai riconciliarsi con la leadership iraniana […] non l’ha escluso”; anzi ha “tracciato un parallelo con la Corea del Nord”.
E ha ricordato che il “presidente ha dichiarato almeno una volta, forse più di una, di essere pronto” a sedersi al tavolo dei negoziati, anche se ovviamente solo dopo un cambiamento dell’atteggiamento della leadership iraniana.
Il viaggio di Lavrov in Israele
In parallelo allo scontro Teheran – Washington si sta consumando, e non a caso date le reciproche alleanze mediorientali, un analogo scontro tra Russia e Israele.
Quest’ultimo verte sulla presenza iraniana in Siria, che il governo di Tel Aviv vuol veder sparire. Putin ha inviato in Israele Sergej Lavrov, dopo che il precedente accordo con Netanyahu, stipulato a margine dell’incontro Trump-Putin, si era incrinato, come riporta il sito israeliano Debka.
Sempre secondo Debka, ben informato, il ministro degli Esteri russo sarebbe tornato a casa “a mani vuote”. Sarebbe infatti stata respinta la sua offerta di tenere gli iraniani a 100 chilometri dal confine israeliano.
Ma è difficile crederci: è ovvio che la Russia sa perfettamente quale sia la linea israeliana e la sua irrevocabilità.
Se persegue il negoziato è perché i suoi interlocutori lasciano aperti spazi di dialogo, che ovviamente si stanno snodando a più ampio raggio, non solo sui confini Israele-Siria.
Ne è indizio proprio lo scontro parallelo che si sta consumando tra l’asse Washington-Tel Aviv e quello Mosca-Teheran. Proprio l’ampiezza del conflitto indica che gli spazi per avventure militari al momento sono più che ridotte. Troppi i rischi connessi.