Nucleare iraniano: possibile un nuovo trattato
Tempo di lettura: 3 minutiIeri la visita di Emmanuel Macron negli Stati Uniti. Il presidente francese giunge a Washington con una mission speciale: cercare di convincere Trump a non stracciare l’accordo sul nucleare iraniano.
Nucleare iraniano: la missione di Macron
Una mission che pare diventata meno impossibile. Nel riportare la visita, infatti, il New York Times si interroga sulle reali intenzioni di Trump in vista del fatidico 12 maggio, quando dovrà prendere la decisione.
Il presidente degli Stati Uniti ha promesso più volte di stracciarlo, ma negli ultimi giorni sembra che qualcosa sia cambiato. Che cioè possa revocarlo ma, allo stesso tempo, dare avvio a un nuovo negoziato per stipularne uno più consono ai suoi desiderata.
Ne accenna anche Debkafile in una nota del 23 aprile, che rivela come funzionari statunitensi ed europei sarebbero già al lavoro per preparare una nuova base negoziale. E, insieme, che il ministro degli esteri iraniano Javad Mohammed Zarif, a tale scopo, si sarebbe recato una settimana negli Stati Uniti.
Rivelatore anche quanto scrive Eli Lake su Bloomberg, che spiega come il nuovo segretario di Stato americano, Mike Pompeo, anche lui un tempo fiero oppositore dell’accordo, sarebbe propenso a intraprendere un nuovo round negoziale.
Insomma, sembra che la richiesta di Gran Bretagna, Francia e Germania abbia trovato una qualche sponda di là dell’Atlantico.
Le incognite di un nuovo trattato
All’Iran sarebbe chiesto di ritirarsi dalla Siria, di accettare vincoli al programma missilistico e di astenersi da ogni iniziativa riguardante il nucleare per un tempo più lungo.
Sottotraccia, il negoziato sembra sia anche iniziato, almeno a stare a quanto riporta ancora la nota di Debkafile citata, che dettaglia quali richieste l’Iran potrebbe accettare e quali no.
Ad oggi le autorità iraniane si sono attestate sulla linea della fermezza. Il trattato o sta com’è o cade, tertium non datur dichiarano. Ma potrebbe essere anche una posizione di facciata.
Per rassicurare il fronte interno ed evitare il montare di un pericoloso malcontento cavalcato dalla destra, da sempre contraria all’accordo con gli antichi nemici.
Ma anche per intraprendere un negoziato serio, che cioè non sia un semplice cedimento a un diktat altrui.
E, infine, per mettere le mani avanti: Teheran non può accettare condizioni che la rendano facile obiettivo di eventuali aggressioni esterne.
Detto questo, se davvero si intraprenderà, il negoziato sarà duro e non poco rischioso. Anzitutto perché la leadership democratica iraniana rischia di essere travolta dalla destra, che potrebbe brandire il cedimento per alimentare il revanchismo anti-americano.
Ma anche perché qualcuno potrebbe essere tentato di porre condizioni talmente irricevibili da convincere Teheran a non intraprendere o ad abbandonare le trattative.
Così da addossare all’Iran la colpa dell’insuccesso e indicarlo come pericolosa mina vagante. Per giustificare una guerra, insomma.
Da qui al 12 maggio tutto può succedere. Ma val la pena riportare questo nuovo, accennato, orientamento dell’amministrazione Trump.
Significativo anche quanto dichiarato ieri da Trump riguardo un aspetto particolarmente importante del puzzle mediorientale: gli Stati Uniti si impegnano a impedire che Teheran abbia uno sbocco al Mediterraneo attraverso la Siria.
Un cenno più che significativo, dal momento che tale sviluppo è fonte di preoccupazione regionale – di Ryad e Tel Aviv in particolare – e globale, stante la netta opposizione degli ambiti atlantici a tale sviluppo.
Ciò, infatti, comporterebbe inevitabilmente che l’Iran assurga a tramite mediorientale della Via della Seta cinese per uno sbocco mediterraneo. Con tutte le criticità che questo comporta. Su tutte, un nuovo rapporto tra Oriente e Occidente, sottratto al controllo Atlantico.
Su questo tema ho scritto un articolo per gli Occhi della Guerra, al quale rimando (cliccare qui).