Una riconciliazione nazionale per la Palestina
Tempo di lettura: 2 minutiHa fatto il giro del mondo l’annuncio di Hamas, che domenica si è detto pronto a riconciliarsi con Fatah. I rapporti tra Hamas e Fatah si sono rotti nel 2007, quando il movimento islamico ha preso il controllo della Striscia di Gaza sottraendolo all’amministrazione del legittimo governo palestinese guidato da Fatah.
L’annuncio segue altri similari, succedutisi negli ultimi tempi, andati purtroppo a vuoto. Ma stavolta sembra sia diverso, dal momento che oltre il fumo si intravede l’arrosto.
Il movimento islamico, infatti, ha sciolto il comitato amministrativo (istituito all’inizio dell’anno) cui era stato affidato il compito di governare la Striscia di Gaza, un’iniziativa che aveva suscitato le proteste del presidente palestinese Mahamud Abbas: la decadenza di tale comitato è quindi un segno concreto che Hamas fa sul serio.
Dal canto suo Abbas ha accolto con favore l’iniziativa, spiegando che avrebbe seguito la questione al suo ritorno da New York, dove sta partecipando ai lavori delle Nazioni Unite.
In ogni caso, ha spiegato che un accordo di tale portata «permetterebbe la formazione di un governo di riconciliazione nazionale in grado di amministrare la Striscia di Gaza e tenere le elezioni».
Il consulente per gli affari internazionali del presidente palestinese, Nabil Shaath, ha dichiarato, tramite l’agenzia stampa Wafa, che «l’Egitto ha svolto un ruolo fondamentale per convincere Hamas» a compiere tale passo, aggiungendo che il primo ministro palestinese Rami Hamdallah si sarebbe recato a breve nella Striscia di Gaza per parlare con i dirigenti di Hamas al fine di prendere le redini dell’amministrazione locale per armonizzarla con quella della Cisgiordania.
Previsto anche un incontro tra Fatah e Hamas per realizzare una «riunificazione effettiva» delle due entità statali. Ci «vorrà tempo», ha dichiarato Shaath, che però si è dichiarato «più ottimista» del passato sulla possibilità di riuscita.
Dal canto suo, il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha affermato: «Tutte le parti devono cogliere questa opportunità per ripristinare l’unità e aprire una nuova pagina per il popolo palestinese», aggiungendo che l’Onu è pronta a dare il suo contributo per la riuscita del negoziato.
Insomma, sembra davvero ci sia una prospettiva, anche se tutto resta sospeso. Tanti gli ambiti locali e internazionali contrari a tale sviluppo.
Hamas è considerata un’organizzazione terrorista. Questo passo potrebbe portarla fuori dalle secche nelle quali si è arenata da tempo.
Non solo: i negoziati potrebbero portare il movimento islamico ad abbandonare il massimalismo nei confronti di Israele e ad accettare, come ha fatto Fatah, quella che i suoi membri chiamano l’«entità sionista», o quantomeno accettare che lo Stato palestinese abbia un confine, cosa che implicherebbe giocoforza l’accettazione dello Stato di Israele.
Insomma, il passo ha implicazioni di portata «storica», come ha confidato un portavoce del governo palestinese alla Reuters. Ma questo è il futuro, incerto quanto insidiato da mille ostacoli e perigli.
Ma già il presente, l’annuncio di domenica, è nel suo piccolo qualcosa di storico: è la prima volta che Hamas fa un passo di tale portata, peraltro del tutto imprevisto e imprevedibile. Un buon viatico, nonostante le tante, prevedibili, avversità.