Usa: anche la sosia, come in Unione sovietica
Tempo di lettura: 2 minutiAvevamo scritto in una precedente postilla (cliccare qui) che quanto sta avvenendo negli Stati Uniti ricorda un po’ quel che accadeva in Unione sovietica e suoi Paesi satelliti.
Avveniva, infatti, che la nomenclatura portasse al potere leader ammalati che gli consentissero una continuità di gestione del potere reale. E che le loro malattie venissero giustificate come semplici “raffreddori”.
È quanto sta avvenendo in America con la polmonite della Clinton. A questi cenni pregressi si può aggiungere che spesso in Occidente fiorivano aneddoti riguardo veri o presunti sosia di leader dell’Est, i quali apparivano in pubblico al posto dei loro omologhi. Aneddoti spesso associati a fasi acute del “raffreddore”, come accade oggi per Hillary Clinton.
Infatti negli States e altrove furoreggia, su web e giornali, il tormentone dei sosia della candidata democratica (cliccare qui per divertirsi con i confronti fotografici).
Complottismo alimentato anche da un dato reale, ovvero la straordinaria somiglianza di un’attrice, Teresa Barnwell, alla candidata democratica, con la quale non nasconde le frequentazioni. Ma ovviamente i sosia di personaggi famosi son legione.
Detto questo, la Clinton deve fermarsi causa “polmonite” e si attendono gli sviluppi del caso. Che potrebbero essere clamorosi, ad esempio il suo ritiro. Ma siamo nel campo delle ipotesi, che pur prese in considerazione dai maggiorenti democratici, sono ancora aleatorie.
Ad oggi si assiste a una campagna alquanto anomala, dove a tirare la carretta nei comizi sono il marito della Clinton e Obama. Quest’ultimo, in un discorso appassionato, ha chiarito il nodo di questa corsa presidenziale, spiegando che non si tratta di un confronto tra democratici e repubblicani.
In gioco, infatti, c’è l’ipotesi che gli Stati Uniti abbandonino il mondo, ovvero, in caso di vittoria di Trump, il ritorno all’isolazionismo (in modi e forme da verificare e certo imprevedibili).
Alla Clinton, infatti, ne abbiamo scritto spesso, è stato assegnato il compito di rilanciare quel progetto neocon che si è un po’ appannato durante la parentesi Obama, guerriero riluttante.
Nei fatti, la vittoria della candidata democratica rappresenterebbe un ritorno, in forme diverse e forse meno rozze, alla presidenza di George W. Bush, che fu ingabbiata dalla dottrina politico-religiosa neocon.
Per una bizzarra palingenesi dei fini il malore che mette in dubbio la sua ascesa trionfale alla Casa Bianca è avvenuto proprio l’11 settembre, in occasione di una commemorazione delle vittime dell’attentato che ha permesso a quella dottrina di diventare tragica prassi.
C’è una terza via alle due opzioni, che passa attraverso un compromesso all’interno del partito democratico ma che tiene presente anche ambiti culturali e politici diversi. Questa vede una presidenza appannaggio dei democratici nel segno di una continuità reale della presidenza Obama e di un suo compimento.
E vede una continuità della proiezione globale americana, declinata però non esclusivamente attraverso l’uso della forza, ma privilegiando la diplomazia. Al di là dei nomi di possibili candidati sostitutivi, Biden o Kerry o altri, o della permanenza della stessa Clinton in un quadro altro da quello attuale, ora la partita reale per la Casa Bianca si gioca anche, e soprattutto, a questo livello.
È possibile che la debolezza della Clinton favorisca tale soluzione, finora sdegnosamente rigettata nonostante fosse quella più favorevole alla vittoria dei democratici.