A Vienna ha vinto la paura
Tempo di lettura: 2 minutiIl voto postale incorona il candidato verde Alexander Van der Bellen presidente dell’Austria e ferma l’avanzata della destra. L’Europa trionfa, è il commento della stampa nostrana che ha seguito con partecipazione tali elezioni.
Certo, c’è da tirare un respiro di sollievo per l’esito, dal momento che la vittoria dell’ultradestra a Vienna, la prima in Europa di un partito di tal genere dal dopoguerra, avrebbe assunto significati simbolici non trascurabili dati i precedenti del noto imbianchino austriaco.
Resta che, se la politica europea non cambia, tale sfida è destinata a rinnovarsi altrove, con esiti imprevedibili.
Il problema di fondo è che ad oggi il Vecchio Continente sa produrre soltanto paura. Consegnati ai poteri forti, i partiti tradizionali, o meglio i loro attuali simulacri, hanno esautorato i propri cittadini dei diritti fondamentali della democrazia (di cui pure si ergono a difensori contro i populismi).
Anzitutto quello della sovranità, di cui parti sempre più significative vengono trasferite furtivamente a Bruxelles e ai circoli cultural-finanziari ai quali l’eurocrazia è subornata.
L’erosione del diritto di cittadinanza si accompagna a quella del benessere, in forza di un meccanismo perverso quanto “insindacabile” che sta depredando risorse da poveri e classe media per consegnarle ai ricchi.
Tutto ciò genera paura. Una paura che si somma al Terrore prodotto dalla sfida esoterica dello «scontro di civiltà», nato negli stessi ambiti cultural-finanziari occidentali (e non certo dal mondo islamico verso il quale si esercita il rifiuto populista).
Una congerie di paure che alimenta i populismi di destra.
Tale è quindi il nascosto meccanismo politico che muove l’Europa, dove i cosiddetti difensori della democrazia producono paura, e i populismi danno espressione politica a tale paura (non una risposta, ma un ambito di interlocuzione).
Un duello strano sta quindi consumando l’Europa, tra forze apparentemente opposte, ma collegate da un circolo perverso che le vede unite nel profondo.
Così anche a Vienna non ha vinto la speranza, ma la paura. Le forze “europeiste” hanno fatto leva essenzialmente sulla paura della vittoria altrui piuttosto che sui propri contenuti.
Tutto si è giocato sullo schema della demonizzazione dell’avversario, che consente di non prendere in minima considerazione le richieste e le esigenze, giuste o sbagliate che siano, dei cittadini dei quale si fanno portatori i cosiddetti populismi.
Schema pericoloso questo, perché estremizza l’avversario politico e i suoi elettori, nella speranza, sempre meno fondata, di relegare le loro richieste e le loro esigenze all’insignificanza politica.
Ed è questo il limite tragico della politica europea, chiusa in un circolo perverso dove ambiti sempre più ampi di cittadini continuano a vedersi negato ogni diritto di interlocuzione da parte della politica tradizionale. E dove i partiti storici non sanno svincolarsi dall’abbraccio mortale della Finanza, che non gli consente margini di libertà e quindi di rapporto reale con i cittadini (da qui il loro diverso populismo).
Una dinamica foriera di disastri.
Tra l’altro, presto o tardi le oligarchie cultural-finanziarie potrebbero essere tentate di abbandonare i simulacri dei partiti tradizionali per abbracciare quei populismi che l’attuale gioco politico fondato sulla paura sta rendendo sempre più estremi.
In questo modo tali oligarchie otterrebbero anche l’enorme vantaggio di conseguire il monopolio della paura. La comunità degli Stati europei nacque proprio per scongiurare tale eventualità.