Adrian Paci, Centro di permanenza temporanea
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Un gruppo di persone, evidentemente degli immigrati, sono saliti ordinatamente sulla scaletta di un aereo, ma nello spazio vasto della pista non si intravede nessun velivolo. Quanto dovranno stare lì ad aspettare? Qual è la loro meta? Da dove vengono? In che aeroporto precisamente si trovano? Come mai non hanno valigie? E perché aspettano con tanta calma in quella situazione surreale? Se l’arte oggi è un fattore moltiplicatore di domande, si può dire che poche opere al pari di questa abbiano centrato il loro obiettivo. Perché di un’opera si tratta, di un breve video, poi cristallizzato in questa immagine sintetica che in questi anni ha fatto il giro del mondo, a simboleggiare la condizione non solo politica e sociale dei migranti, ma la loro condizione umana. L’opera è firmata da Adrian Paci, migrante lui stesso, in quanto nato in Albania e arrivato in Italia nel 1992. Oggi Paci è un artista famoso a livello internazionale, ha esposto tra l’altro lo scorso anno al Jeu de Paume di Parigi, con una mostra che ha avuto anche una grandissima illuminazione mediatica. Oggi Paci lavora in un vasto capannone industriale di Stezzano, vicino a Bergamo, dove continua a seguire molti giovani artisti accompagnandoli e aiutandoli a crescere e maturare.
Quella da cui siamo partiti è l’opera che lo ha fatto conoscere al mondo, nel 2007. Si intitola Centro di permanenza temporanea ed è ambientata all’aeroporto di San José in California. Lo spunto era venuto a Paci dalle vicenda reali dei gruppi di immigrati che venivano rimpatriati.
Il migrante è un uomo che non ha terra sotto i propri piedi (vedete che stanno tutti stipati sulla scaletta, pur avendo tanto spazio attorno), che vive in un mondo sospeso, in una situazione di incertezza permanente, che paradossalmente Paci racconta come una sorta di immobilismo. Tutto è fermo e incerto nello stesso tempo.
Inevitabile pensare, guardando questi uomini stipati sulla scaletta, ai viaggi delle centinaia di migranti che in questi giorni stanno tentando il viaggio della loro vita, stipati sino addirittura a morire a volte soffocati, sui barconi nel Canale di Sicilia. Anche loro hanno attorno a sé un mare grande, spazi senza confini, eppure si trovano con la vita schiacciata, perché quegli spazi sono tutti per gli altri. E chi sono questi altri? È l’ultima domanda che l’opera di Paci inevitabilmente sollecita. Forse la più inquietante. Perché lì vicino non c’è nessuno? Che l’Occidente sia diventato davvero una civiltà di fantasmi?