Anish Kapoor, La guarigione di san Tommaso
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La cosa affascinante dell’arte contemporanea è la sua capacità di allargare gli spazi e di aprire orizzonti imprevisti. Non c’è terreno che le sia estraneo e non c’è situazione che non riveli potenzialità inesplorate. Nelle settimane scorse abbiamo visto i casi di Yves Klein e di Alberto Garutti, che con libertà e delicatezza hanno trovato il linguaggio del tutto imprevisto per esprimere una dimensione moderna di devozione. L’arte moderna resta sulle costanti, ma non ripete. Il caso di Anish Kapoor, grande scultore nato in India ma ormai occidentalizzato a tutti gli effetti è emblematico. Kapoor è artista che ha l’eleganza formale di un classico, ma con la sua arte crea sempre effetti sensoriali che portano chi ne fa esperienza un po’ “fuori” da se stesso. È arte potente che non ci si può limitare a guardare ma dalla quale bisogna lasciarsi quasi avvolgere, a volte anche inghiottire.
Nel 1989 Kapoor realizzò un’opera che sembra antitetica rispetto allo stile che lo ha reso famoso, perché è un’opera di una semplicità radicalmente minimale. Su un grande muro bianco, aveva inciso un taglio lungo una quindicina di centimetri, che aveva poi riempito di pigmento rosso. Il titolo svelava il senso di quell’installazione enigmatica: The Healing of St. Thomas (La guarigione di san Tommaso). Il titolo ovviamente, come spesso capita nell’arte contemporanea è parte integrante e decisiva dell’opera (notate in questo caso la sottigliezza: non l’incredulità, ma la guarigione di Tommaso). Con quel titolo Kapoor, che pure non è cristiano, intercettava in modo oserei dire clamoroso il senso dell’episodio evangelico. La piaga di Cristo è la guarigione di Tommaso. L’apostolo, ha detto Kapoor, «è guarito, nella sua incredulità, dalla ferita di Cristo, da una ferita capace di accogliere». La ferita sul muro è decentrata, come pure è decentrata sul corpo di Cristo. E lo sconcerto, lo spiazzamento che quella visione crea nel visitatore richiama lo sconcerto di Tommaso, incapace di liberarsi della propria incredulità. Cos’è quella ferita? Perché ci sorprende? Perché si impone così indifesa al nostro sguardo?
Kapoor nello spiegare questa sua installazione, ha detto di sentirsi debitore del celebre quadro di Caravaggio conservato a Potsdam. Questa ammissione è interessante perché fa capire quali percorsi debba intraprendere un artista contemporaneo per arrivare a rinnovare quella situazione genialmente espressa da Caravaggio. Perché quella situazione sia vera oggi deve essere espressa in maniera radicalmente nuova: ogni minima tentazione di ripetere, ne svuoterebbe infatti la forza, la ridurrebbe (scandalosamente) a documentazione inerte. A pura espressione verbale, seppur resa per immagini. Per questo l’arte moderna si trova a dover allargare gli spazi e sperimentare nuovi territori. E c’è da esser grati agli artisti per questa loro imprevedibile semplicità, perché questo è l’unico modo con cui quelle situazioni possono raggiungere lo sguardo e il cuore di un uomo di oggi.