Giovanni Segantini, Mezzogiorno sulle Alpi
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Un prato sotto il sole di una giornata limpidissima in piena estate, a 2500 metri di altezza. Intorno una corona di montagne che si staglia contro un cielo di un azzurro senza sbavature. Diffcile immaginare un contesto più bello e più attrattivo di questo: sovrastato da un silenzio che non mette nessuna ansia, e da un’aria che riempie la vita e non solo i polmoni.
Per capire uno dei più bei quadri di Giovanni Segantini (presente alla mostra di Milano appena aperta) bisogna davvero immaginarsi in loco: Mezzogiorno sulle Alpi (1891) è stato dipinto infatti durante il periodo della permanenza in Engadina, il periodo certamente più florido della sua parabola artistica. Segantini, che era nato nel Trentino allora austriaco, e di fatto era apolide e senza passaporto, dopo la stagione milanese e lombarda aveva scelto di trasferirsi in questo paese dei Grigioni di cui non conosceva neppure la lingua, proprio per trovare a dipingere luoghi come questi. Anzi: per dipingere “in” luoghi come questi.
I suoi atelier d’alta quota erano situazioni complesse, che implicavano un bello staff e strutture per proteggere le tele dal maltempo. Eppure non so quanto di reale ci sia in questa tela, a parte la modella Barbara Uffer, la giovane domestica, che era una delle preferite dell’artista. Segantini aveva bisogno di essere in luoghi così perché voleva essere investito dall’intensità della luce e dell’aria, non tanto perché volesse fare dei quadri fedeli al paesaggio che aveva davanti. Quello stimolo poi si traduceva in qualcosa di esattamente opposto alla pittura impressionista, di cui per altro Segantini doveva aver visto e conosciuto pochissimo. Lui procede per infiniti tocchi di colore puro, accostati l’uno all’altro ma mai mischiati: è una tecnica certosina che Segantini adotta perché è la sola che gli permette di restituire quella dimensione, quasi respirabile, di splendore che sperimentava ad ogni istante nel suo atelier montano.
Per questo Segantini va visto molto, molto da vicino. Per rendersi conto di come un filettino di colore in apparenza inerte si riempia di energia mettendosi in relazione con quello che gli sta a fianco. Così il paesaggio di Segantini è un qualcosa di incredibilmente splendente, quasi abbagliante, pur restando assolutamente “terra terra”. Il colore è avvinghiato alla tela, eppure esplode di luce. E il segreto è uno solo, e lo si scopre guardando il quadro da vicino: la pittura per Segantini è un esercizio di umiltà.