Renato Guttuso, Vucciria
Tempo di lettura: 2 minutiNon saprei dire se Renato Guttuso sia stato un grande pittore, nel senso di quelli che lasciano un segno nella storia. Certamente è un pittore in cui è sempre bello imbattersi. È riaccaduto in questi giorni, per il fatto che il teatro dell’Opera di Palermo ha messo in cartellone un’opera ispirata ad una delle sue opere più celebri: la Vucciria.
L’opera è stata intitolata “Il quadro nero – ovvero La Vucciria, il grande silenzio palermitano”: il titolo può suonare strano in quanto il quadro di Guttuso sembra esattamente l’opposto, un quadro fragorosamente pieno di colori. L’artista di Bagheria lo realizzò nel 1974: siamo quindi ben fuori cronologicamente da quel periodo magico di un realismo che accompagnava un’Italia lanciatissima nel suo boom.
Il 1974 anche per un pittore di certezze come Guttuso è, come intuisce in maniera unica Pasolini, una stagione di passaggio, di inquietudini e di angosce. Ma la forza di Guttuso è sempre quella di avere nella pittura una risorsa per provare ad uscire dall’impasse personale. Per Guttuso la pittura è strumento di immersione nella realtà. Nel caso della Vucciria, dedicata al mercato più noto e singolare di Palermo e oggi custodita nel magnifico palazzo dello Steri nel centro della città, Guttuso s’immerge in quel “corpo” fatto di frutta, verdure, carni, pesci, crostacei, formaggi, uova, salami.
Lo spazio della tela quadrata (tre metri per tre) è tutto stipato di colori, sapori, odori, profumi. È tale l’attrazione di Guttuso nei confronti di questo squarcio di vita palermitana, che il quadro invece di andare in profondità sembra salire dal fondo, come se tutto esigesse di essere in primo piano. La pittura sembra pulsare e quasi sussultare davanti a quello spettacolo vitale: lo sguardo di Guttuso è sguardo senza riserve, che si abbandona al fascino delle cose, che non trattiene la propria natura “golosa”.
Tuttavia non ci si può nascondere che in questo trionfo palermitano s’annida un po’ di inquietudine, una punta di tristezza. C’è un che di attonito nell’atteggiamento delle persone, le quali hanno occhi abbassati, stanno rinserrate in se stesse, chiuse nel perimetro loro assegnato. Si coglie uno scollamento tra il rito fastoso del mercato e la dimensione degli uomini che lo frequentano. La Vucciria è un quadro che racconta qualcosa di sontuoso, che però sembra non far più breccia negli occhi delle persone.
Guttuso è lì in mezzo e con la sua pittura – o meglio con la forza generosa propria della sua pittura – sembra sognare di ricucire quello iato che si è aperto. Cerca di far scattare la scintilla antica, di riaccendere un amore in cuori resi impermeabili. A cominciare dal suo.