Sacro Monte di Varallo
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Il gelo si addice a Varallo. Perché è con il gelo e non con lo spettacolo della bella stagione, che si capisce il fascino di quel luogo. A Varallo, a partire dalla fine del 400, per iniziativa di un infaticabile francescano che aveva passato molti anni alla Custodia in Terrasanta, era nato il primo Sacro Monte. L’idea era semplice: se per i cristiani era diventato complicato e troppo rischioso fare il pellegrinaggio sui luoghi di Gesù – aveva pensato padre Bernardino Caimi – portiamo un segno di quei luoghi dove i cristiani vivono. Così, su un cucuzzolo che domina la bassa Valsesia, in quella che allora era diocesi di Milano, padre Caimi, per iniziare, ricostruì un Santo Sepolcro seguendo alla lettera le misure del vero Sepolcro. Poi fece un calco del piede dell’Ascensione e portò anche quello a Varallo, mettendolo dentro una piccola Cappella. Era nato così, senza enfasi e in grande povertà il Sacro Monte. La storia successiva sarebbe stata invece frutto dell’intuizione di un grande artista, nato poco distante da lì: Gaudenzio Ferrari. È lui che a inizio 1500 sceglie di popolare le ulteriori Cappelle con le figure in terracotta e con gli affreschi per rendere ancora più vivo e verosimile il racconto della vita di Gesù. Ci vorranno due secoli per portare a termine quell’intuizione iniziale e dar così corpo a quel meraviglioso insieme che è oggi il Sacro Monte di Varallo. Ma qui voglio soffermarmi solo su quell’inizio. Tra le opere che Gaudenzio Ferrari portò a termine, c’è il piccolo complesso delle Cappelle della Natività. C’è la grotta con le statue di Giuseppe, Maria e il Bambino e la stella incapsulata nel pavimento, proprio come a Betlemme. C’è il corteo dei Magi che si avvicina. E c’è un angolo scavato nella roccia in cui Gaudenzio ha rappresentato l’Adorazione dei Pastori. È una delle immagini più commoventi che mi sia mai stato dato di incontrare nel mio girovagare per musei e chiese. Gaudenzio ha immaginato un luogo ribassato rispetto a noi visitatori-pellegrini: un escamotage che con grande semplicità diventa suggerimento e indizio di quella povertà in cui tutto questo era avvenuto. Le statue sono di terracotta, alcune vestite con panni veri, alcune hanno anche capelli realizzati con crini di cavallo, tutto all’insegna di un’aderenza al vero. Ma quello che più mi ha sempre colpito e commosso è l’idea che Gaudenzio ha avuto per Maria: infatti la vediamo di spalle, perché con il suo corpo sembra mettersi istintivamente a protezione del Bambino nato in quelle condizioni così precarie. Lo protegge dalle “ostili insidie”, ma anche dal freddo tagliente dell’inverno. Il freddo è freddo vero perché le Cappelle sono tutte raccolte nel bosco, sempre aperte per chi voglia passare di lì a qualsiasi ora del giorno e della notte: anche il freddo perciò è del tutto simile al freddo di Betlemme. Per tornare alla figura di Maria: stando di spalle accenna a voltarsi per vedere chi sta arrivando. Non era infatti scontato che qualcuno arrivasse. Invece ci sono i pastori, poveri, commossi, stupiti. Voltandosi Maria finisce con l’accorgersi anche di noi, che ci troviamo lì dietro, sospinti, duemila anni dopo, verso quel Bambino.