3 Dicembre 2014

Volvinio, Altare maggiore sant'Ambrogio a Milano

Volvinio, Altare maggiore sant'Ambrogio a Milano
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Il meraviglioso altare d’oro che costituisce l’altare maggiore della basilica di Sant’Ambrogio a Milano (un altare sul quale la messa da sempre è stata celebrata coram populo), è interamente rivestito da un bassorilievo a sbalzo; la parte frontale è dedicata alla rappresentazione della vita di Gesù, mentre il retro è per la vita di Ambrogio. Davanti la lamina è d’oro, sul retro, più umilmente, è d’argento.

 

Tra i riquadri della storia di Ambrogio (realizzati da Volvinio, intorno all’830, uno dei primi artisti a firmare una sua opera) c’è questo dedicato ad un episodio che precede la sua consacrazione a vescovo. La storia è nota: nel 374 era morto Aussenzio, vescovo ariano, e la città era precipitata in una guerra tra fazioni. Ambrogio, che allora era governatore della provincia del Nord Italia, venne individuato dal popolo come colui che avrebbe potuto riportare pace in città.

 

Leggenda vuole che mentre Ambrogio si trovava in una chiesa (era figlio di una famiglia cristiana già da generazioni), si levasse la voce di un bambino che urlò: «Ambrogio vescovo». Da quel momento tutti lo incalzarono cercando di vincere la sua assoluta riluttanza. Come estremo rimedio Ambrogio scelse di fuggire dalla città a cavallo: ed è proprio a questo momento della sua biografia che questo stupendo riquadro si riferisce. La semplicità e la forza icastica della rappresentazione non richiedono spiegazioni: il cavallo che recalcitra e ha già girato acrobaticamente la testa indietro, indica quale sarà la direzione della storia.

 

Dall’alto entra, infatti, la mano di Dio che chiama Ambrogio quasi a forza: ed è bello pensare a quella coincidenza tra la volontà di Dio e quella del popolo (e com’è bello che sia stato un bambino a indicare al popolo la persona giusta…). La mano di Ambrogio timidamente allungata verso quella di Dio è il segno della resa: sullo sfondo di questa scena si vede lo skyline di Milano. È lì che si torna: il primo dicembre di quel 374 ci sarebbe stato il battesimo, il 7 la consacrazione vescovile.

 

Volvinio concepisce la scena con un’essenzialità assoluta, tutta rivolta a questo movimento di “conversione” di Ambrogio. Conversione che è sostanzialmente un voltarsi, un guardare verso chi chiama. Ambrogio infatti si è girato e, girandosi, ha lasciato cadere le difese. L’espressione non è quella di uno che raccoglie una sfida, ma di chi è stato vinto dalla dolcezza della chiamata. La pulizia formale del riquadro, il ritmo danzante delle linee (notate come la palma incurvata risponda al movimento analogo del collo del cavallo), raccontano di una persuasione che alla fine ha conquistato il cuore di Ambrogio, di una volontà approdata alla sequela. Recita il versetto inciso, tratto dalla Vita Ambrosii di Paolino da Milano: «Ubi fugiens Spiritu Sancto flante revertitur». È lo Spirito il soggetto che agisce. Ambrogio non fa altro che voltarsi e seguire.

 

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